Jon Fosse, L'altro nome, 2019

e c'è silenzio e anch'io mi tolgo la borsa a tracolla e l'appoggio sulla sedia vicino a me e lascio vagare lo sguardo sugli altri uomini presenti nel Pub, seduti ognuno con la propria birra e la propria sigaretta come se fossero il loro fragile scudo di protezione dal mondo, si aggrappano alla sigaretta, alla birra, e dentro di loro il mare è grande, in tempesta o calmo, mentre aspettano che abbia inizio la prossima e ultima traversata, quella che non avrà mai fine, quella da cui non torneranno più e non hanno paura, andrà come andrà e deve essere, perché in questo c'è un significato, sì, Nostro Signore deve sicuramente avergli dato un senso, pensano, perché Lui scrive dritto dove le righe sono storte, pensano, o almeno il buon Dio è presente da qualche parte, ed è il diavolo a storpiare le righe, pensano, e si aggrappano alle loro sigarette e alla birra e poi pregano una preghiera silenziosa, una preghiera che assomiglia di più a una rapida occhiata rivolta verso il mare che c'è dentro di loro, senza parole, ma la preghiera si estende fino dove l'occhio arriva scrutando il mare, ed è completamente priva di parole, perché le parole rimangono, certo, ma deve esistere un porto anche per gente come loro, pensano di sicuro, e poi avvertono un accenno di paura e allora sollevano il bicchiere e il sapore della birra, quel gusto vecchio e caro, infonde loro sicurezza, penso e vedo che Asle alza la birra e ne beve un sorso