Il destino delle avanguardie è sempre stato quello di alimentare il linguaggio della pubblicità, ma negli ultimi decenni la distanza temporale (la “finestra”, per usare un termine della distribuzione dei prodotti audiovisivi) si è sempre più assottigliata, fino a erodere i confini tra arte e non arte in modo molto più radicale e devastante di quanto facessero i
ready made di Duchamp o le scatole del Brillo di Warhol che folgorarono Arthur Danto. Così non c’è più la “trasfigurazione del banale”, ma una “artistizzazione” dell’insignificante (il concetto è di Mario Perniola,
L’arte espansa): tutto diventa arte, e proprio per questo non significa più nulla.