Antonio Moresco, Gli increati, 2015

Ci sono schiere di scrittori vivi nelle città dei vivi, che combattono gli uni contro gli altri come se fossero vivi. Si sbranano per contendersi un tempo che non c'è più, che non c'è mai stato, che non ci sarà. Combattono per restare vivi, per diventare morti. Si gettano con i loro volti morti e con le loro frenetiche codine morte lungo il canale uterino della vita morta, e ognuno di loro vorrebbe essere il primo a sfondare l'ovulo della vita che sta dentro la morte. C'è un'enorme placenta ormai sul punto di scoppiare che contiene tutti gli scrittori di questa epoca finale della cosiddetta vita umana e del mondo. Se ne stanno là, addormentati e atterriti, con le loro manine che stringono anche nel sonno le loro piccole narrazioni dislocate dentro un tempo che non c'è più, con i loro occhietti sbarrati anche nel sonno, schiere di corpicini allineati nel buio come negli universi larvali sotterranei degli insetti.