Paul Krugman, “Prospect”, novembre 1998

Immaginate un'economia che non sia perfetta (e quale economia lo è?). Forse il governo ha un deficit di bilancio che, anche se non minaccia veramente la sua solvibilità, sta scendendo più lentamente di quanto dovrebbe; o forse le banche con legami politici hanno prestato troppi soldi a clienti discutibili. Ma, per quanto ne sappiamo, non esistono problemi che non possano essere risolti con un po' di buona volontà e qualche anno di stabilità.
Poi, per qualche ragione - magari una crisi economica dall'altro capo del mondo - gli investitori si innervosiscono e cominciano a riprendersi i loro soldi. Improvvisamente il paese è nei guai, la sua borsa crolla, i suoi tassi di interesse salgono alle stelle. Si potrebbe immaginare che un investitore saggio pensasse che sia un buon momento per comprare. Dopotutto, se la situazione di base non è cambiata, non significa forse che i titoli sono sottovalutati? Non è detto. Il crollo del valore dei titoli potrebbe mettere in crisi banche che fino a quel momento erano state solide; una depressione economica alla quale si aggiungono alti tassi di interesse potrebbe provocare la bancarotta di società fino a quel momento solidissime; e soprattutto, la tensione economica potrebbe causare instabilità politica. Forse comprare quando tutti se la danno a gambe non è una buona idea; forse faremmo meglio a darcela a gambe anche noi.
Perciò la perdita di fiducia può produrre una crisi economica che giustifica quella perdita di fiducia. E alcuni paesi diventano soggetti a quelli che gli economisti chiamano «attacchi speculativi autorafforzati». E anche se molti economisti, compreso il sottoscritto, un tempo erano scettici sull'importanza di questo genere di crisi, l'esperienza asiatica e latinoamericana degli anni Novanta ci ha tolto ogni dubbio. [...]
In breve, la politica economica internazionale finisce per avere ben poco a che fare con l'economia. Diventa un esercizio di psicologia amatoriale, in cui l'Fmi e il Tesoro americano cercano di convincere alcuni paesi a fare cose che sperano verranno percepite dai mercati come positive. Non c'è da meravigliarsi se i manuali di economia sono volati dalla finestra appena è scoppiata la crisi.