Roberta De Monticelli, La novità di ognuno. Persona e libertà, 2009
La storia del problema è molto più antica della parola; possiamo rintracciarla nelle pagine della Metafisica di Aristotele che discutono il cosiddetto problema dei futuri contingenti, e in quelle sulla natura degli atti volontari. Se il futuro è determinato, ci sembra che niente dipenda da noi. Questa impressione va subito corretta, perché nessuno ha detto che fra i fattori che determinano il futuro non ci siano anche le nostre decisioni. Sì, ma una decisione “già” determinata, è ancora una decisione? E la discussione comincia... E prosegue con gli Stoici, che hanno esaminato la nozione di “necessità” in tutti i suoi risvolti, compresa la sua applicazione agli eventi futuri; così ritroviamo tutta la questione nel De fato di Cicerone. La questione acquista spessore e drammaticità quando in luogo della Natura antica o del divino cosmo stoico compare sulla scena filosofica l'Iddio delle religioni monoteistiche, e in particolare la Trinità cristiana. In questo “mondo” dove l'uomo affronta il diavolo e il buon Dio, e dove si scontrano modi alternativi di fondare la metafisica e la morale, la questione del libero arbitrio compare nella sua terminologia ormai standard al centro del pensiero di Agostino (ma il termine libertas arbitrii si ritrova anche in un trattato di Tertulliano contro lo gnostico Marcione, agli inizi del III secolo). Di lì prosegue attraverso Boezio, la grande speculazione medievale monastica e scolastica, la scettica modernità umanistica, la Riforma e la Controriforma, il cui fronte di battaglia passa per il problema del libero arbitrio, illuminando due secoli di dispute e di roghi: e dove al trattato di Erasmo Diatriba de libero arbitrio (1524) risponde quello di Lutero, De servo arbitrio (1525), e la dottrina della doppia predestinazione nell'Institutio Christianae religionis di Calvino (1536), mentre a Lutero e Calvino risponde il gesuita Louis de Molina. La questione, che mobilita le risorse dei più grandi razionalisti e degli empiristi del secolo XVII, da Cartesio a Spinoza a Leibniz, da Hobbes a Locke a Berkeley, si avvia, nel secolo di Hume e di Voltaire, a diventare un capitolo di antropologia scientifica, oppure al contrario, con Kant, un postulato della ragion pratica, vale a dire un presupposto indimostrabile della morale. Ma tutta la questione si rinnova divampando nel pensiero romantico come questione dell'autodeterminazione dell'individuo, della sua vocazione e formazione, della realizzazione di sé, per poi confondersi nel fuoco delle battaglie intorno all'idea di libertà come diritto e libertà politica, sprofondare negli abissi dell'introspezione romanzesca o nei grandi studi dostoevskiani sul male, riemergere fra le inquietudini del Novecento in abiti esistenziali, avviarsi infine ai laboratori logico-analitici ed empirici della filosofia della mente e della sua «naturalizzazione», ma anche in quelli tecnologici e fantascientifici dell'epoca cyborg, degli automi semi-vivi che popolano i nostri incubi, e della loro ipotizzabile rivolta.