Augusto Romano, “Tuttolibri”, 9 giugno 2012

Ho l'impressione che l'ottimismo positivistico abbia giocato un brutto scherzo a Musatti, o almeno al Musatti scrittore: gli ha sottratto la dimensione del tragico e lo ha condannato al lieto fine. I nostri pazienti sono oggi meno pittoreschi dei suoi e in genere presentano meno sintomi. Sempre meno la loro sofferenza è annidata in un punto specifico e perciò sempre meno è addomesticabile. Essa è pervasiva, ed è una malattia - come si diceva una volta - dell'anima, che si potrebbe chiamare assenza di significato. Perciò il problema si sposta: far scomparire i sintomi non significa guarire. Lo stesso concetto di guarigione si fa più equivoco, indefinito e fuorviante. Il compito è un altro: familiarizzarsi con l'insensatezza; non pretendere che essa sia altro da quello che è; lasciarla parlare; contemplare le immagini attraverso cui essa si esprime; a nostra vostra parlarle, per quel che l'Io può.