Javier Cercas, Soldati di Salamina, 2001

«Come in un film dei fratelli Marx, solo che lì c'erano un sacco di morti. Un gran casino». Bolaño soffiò sul tè, ne bevve un sorso e posò la tazza sul piattino. «Senti, ti dirò la verità. Per anni ho imprecato contro Allende, convinto che fosse tutta colpa sua, per non averci distribuito le armi. Adesso impreco contro me stesso per aver detto cose simili di Allende. Cazzo, quel tipo pensava a noi come se fossimo suoi figli, capisci? Non voleva che finissimo ammazzati. E se mai ci avesse dato le armi, saremmo morti come mosche. Insomma» concluse, riprendendo in mano la tazza, «ritengo che Allende sia stato un eroe.»
«E cos'è un eroe?»
La domanda sembrò sorprenderlo, come se nessuno gliel'avesse mai posta, o come se avesse continuato a porsela da sempre; con la tazza a mezz'aria, mi squadrò un istante negli occhi, spostò lo sguardo sulla baia, rifletté; poi si strinse nelle spalle.
«Non lo so» disse. «Qualcuno che si crede un eroe e dimostra di esserlo. O qualcuno che ha il coraggio e l'istinto per conservare la dignità, e quindi non sbaglia mai, o per lo meno non sbaglia nell'unico momento in cui è importante non sbagliare, e di conseguenza non può non essere un eroe. O chi capisce, come Allende, che l'eroe non è chi uccide, ma chi non uccide o si lascia uccidere. Non lo so. Per te cos'è un eroe?»