La cosa peggiore era che vedeva il proprio crollo con la stessa lucidità con cui si vedeva recitare. La sofferenza era atroce, e tuttavia lui dubitava che fosse genuina, il che la rendeva anche peggiore. Non sapeva come passare da un minuto all’altro, era come se la mente gli si stesse liquefacendo, aveva il terrore di stare da solo, non riusciva a dormire più di due o tre ore per notte, mangiava appena, ogni giorno pensava di ammazzarsi con l’arma che aveva in solaio – un fucile a pompa Remington 870 che teneva nella casa isolata per autodifesa – e nondimeno gli sembrava tutta una commedia, una commedia recitata male. Quando reciti la parte di uno che sta crollando, la tua interpretazione ha un ordine e una coerenza; quando la persona che vedi crollare sei tu, e quella che stai recitando è la tua fine, è tutta un’altra cosa, una cosa spaventosa e terrorizzante.
Non riusciva a convincersi di essere impazzito, non più di quanto fosse riuscito a convincere se stesso o chiunque altro di essere Prospero o Macbeth. Era artificiale anche come pazzo. L’unica parte disponibile per lui era quella di uno che interpreta una parte. Un uomo sano di mente nella parte di un alienato. Un uomo equilibrato nella parte di un folle.