Victor Hugo, I miserabili, 1862

Questo era accaduto a Mario, il quale aveva perfino, per dir tutto, un po' troppo esagerato nella contemplazione. Dal giorno in cui era giunto a esser sicuro di guadagnarsi da vivere, s'era fermato trovando ben fatto esser povero e togliendo quando poteva al lavoro, per darlo al pensiero; val quanto dire che passava intere giornate a pensare, immerso e sprofondato come un visionario nelle mute voluttà dell'estasi e dell'introspezione. Aveva così posto il problema della vita: lavorare il meno possibile materialmente, il più possibile del lavoro invisibile o, in altre parole, dar poche ore alla vita reale e buttare il resto nell'infinito. Non s'accorgeva che, credendo di non mancare di nulla, la contemplazione compresa in questo modo finisce per essere una forma di pigrizia; non s'accorgeva d'essersi accontentato di domare le prime necessità della vita e di riposare troppo presto.