Honoré de Balzac, Illusioni perdute, 1843

In molte famiglie s’incontra un essere fatale che, per la famiglia, è una specie di malattia. Io per voi sono quest’essere. L’osservazione non è mia, ma di un uomo che ha visto molto del mondo. Una sera, si cenava fra amici, al “Rocher de Cancale”. Fra le mille facezie che allora ci scambiavamo, quel diplomatico ci disse che una certa ragazza che con stupore vedevamo rimanere nubile «era ammalata di suo padre». E qui, allora, ci sviluppò la sua teoria delle malattie di famiglia. Ci spiegò come, senza una certa madre, una certa casa avrebbe prosperato, come tale figlio avesse mandato in rovina il proprio padre e come tale padre avesse distrutto l’avvenire e la reputazione dei figli. Anche se sostenuta ridendo, questa tesi sociale fu in dieci minuti appoggiata da tanti esempi che ne rimasi colpito. Tale verità pagava tutti i paradossi insensati, ma argutamente dimostrati, con i quali i giornalisti si divertono tra loro, quando non è presente alcuno da prendere in giro. Ebbene, io sono l’essere fatale della nostra famiglia. Col cuore pieno di tenerezza, agisco come un nemico.