Guido Piovene, Le stelle fredde, 1970

Non ne potevo più di quella donnetta che, contrastando con l'indifferenza di tutti, mi si era appiccicata addosso, con il suo accompagnatore-nemico, l'ometto sempre dietro le nostre spalle che ghignava. Non cessava mai di parlare; non mi lasciava mai la mano; con la sua, molto piccola, rinforzava i discorsi grattandomi sul palmo. Provavo un forte fastidio di quel solletico, ma non riuscivo a farla smettere. Se poi allungavo il passo lo allungava anche lei sulle gambette corte a costo di trotterellare, senza nemmeno lamentarsi né smettere di grattarmi. Senza guardarla, la vedevo con la coda dell'occhio; magretta, ossuta, energica, prepotente, con gli occhi da fissata. Mi faceva pensare alle donnette missionarie in favore della religione o delle opere di carità, o sostenitrici fanatiche di qualche causa o accusatrici o agitatrici o incitatrici delle rivoluzioni, queste zanzare in veste umana, ancora peggiori dei loro equivalenti maschi. Qualunque cosa ne avessi pensato vivendo, ne provavo adesso disgusto. La sua vocetta di zanzara, che mi dava del tu, nei suoi sproloqui che cercavo di non ascoltare, ma di cui mi arrivava mio malgrado qualche frammento, continuava a ripetere le frasi del suo campionario. Per esempio: ‘Bisogna avere fede’, ‘So perché sei triste, è perché la tua fede non è ancora completa, e senza fede l'uomo soffre’, ‘La tristezza e il dubbio sono i nostri nemici’, ‘Ma io ti sarò vicina e i tuoi occhi vedranno’, ‘Il meglio sta davanti a noi’, ‘Scorda il passato e pensa soltanto al futuro’. Di queste frasi, nelle mie condizioni, non riuscivo nemmeno a capire il senso e lo scopo, e mi comunicavano soltanto una specie di nausea come se fossi oggetto d'intenzioni oscene. Intanto l'ometto, da dietro, con una vocetta, anche lui, non di zanzara ma di topo, interloquiva con i soliti: ‘Campa, cavallo’, ‘Il, ih’, ‘C'è da essere allegri’, ‘Te ne accorgerai, scemo’, ‘Camminerai un bel pezzo’, ‘Se non sarai sparito prima’. Questo durò per tutta la prima giornata. Quando finalmente sedetti per trascorrere quella che, nel gergo di qui, chiameremmo la notte, approfittai di un attimo in cui la donnetta stava tastando con le mani il suo pezzo di terra per essere sicura che fosse ben asciutto; scappai in un altro gruppo di là del rialzo e non la vidi più. Mi accorsi però in seguito che dovunque andavo si trovava sempre un qualcuno, e ce n'erano di tutti i generi, donne, uomini, vecchi, giovani e perfino bambini, che facevano la stessa parte d'incitatori a credere nel futuro, senza che, per quanto sapevo, nessuno li avesse mandati; spesso, non sempre, si portavano dietro un parassita oppositore, che invece ghignava e scherniva. I morti missionari andavano da un gruppo all'altro, si attaccavano a chi potevano; io non li potevo soffrire ed ero anche sgarbato per levarli di torno dalle prime parole. Per quanto indebolito di mente, non mi abbassai a prestarmi come teatro di una lotta tra il bene e il male recitata da quegli esseri disgustosi.