Giorgia Tribuiani, Guasti, 2017

Il collezionista.
Già. E sa cosa mi diceva?
Il vigilante scosse la testa.
Mi diceva: l’uomo è la più bella opera d’arte che esista al mondo.
Oh, Giada.
Sa, io non lo credo.
Cosa?
Io non credo che l’uomo sia un’opera d’arte, e vuole sapere perché? Perché l’arte è un prodotto dell’uomo, il segno tangibile della sua grandezza, certo, ma anche della sua fragilità. Arte è solitudine, il tentativo di fermare qualcosa di vero e la speranza che qualcuno si fermi a guardarlo. Arte è prendere il proprio dolore, la propria disperazione, e provare a convertirli in bellezza, trovare al male un senso e una posizione; una giustificazione. Arte è comprendere di essere di passaggio, gratuiti, superflui, e non saperlo o volerlo accettare. Arte è non farsi bastare questo mondo ed essere così arroganti da voler creare altra esistenza, e respirare quello e vivere di quello. Arte è una parola: la dicono i critici con gli occhi dietro gli occhiali e un corpo plastinato davanti e la fanno diventare realtà. Potrebbero dirlo adesso, registrare queste mie frasi e dire accorrete, questa è arte, venite a sentire, ma il mio discorso resterebbe solo un mucchio di pensieri storti in cerca di un orecchio capace di ascoltare.