Certo che lo sapevo che sarebbe toccato anche a me, come a tutti.
Certo che lo sapevo che nessuno è immortale, nemmeno la mia mamma, nemmeno coloro che amo.
Ma in fondo ai pensieri, laggiù dove non si arriva mai a guardar bene, c’era una vocina che canterellava «tanto a me non succede, tanto ce la faccio, tanto l’amore è più forte della morte, tanto vi ritrovo, tanto non vi perdo...».
Poi accade di attraversare davvero la morte e la mancanza, e si capisce di non avere capito niente.
Il tempo si sfalda e si frantuma trascinando con sé tutte le ancore e le minuscole certezze, la sua rotonda superficie si stempera in faglie che scivolano una sull’altra così che l’infanzia si sovrappone al presente, il futuro si annebbia e tornano vicine le voci e le presenze di coloro che se ne sono andati.
Sembra di poter loro telefonare, sembra di poter tornare, soltanto con un viaggio in macchina o in treno, non solo nei luoghi del passato, ma proprio indietro nel tempo, in quel preciso pomeriggio nel quale facemmo merenda nel cortile, nel quale suonammo con loro il pianoforte o demmo da mangiare alle galline.