Tommaso Pincio, post 13 ottobre 2019

Forse è soltanto un’ipotesi ancora da dimostrare, ma molte cose fanno pensare che il romanzo sia nato e si sia affermato come una sorta di compensazione per ciò che scienza e rivoluzione industriale andavano sottraendo all’animo umano. Quello di fine Settecento era un mondo nuovo dove i sentimenti cominciavano a essere sacrificati sugli altari del progresso e della ragione. Ma proprio per questo, proprio perché mortificati e compressi, sentimenti e emozioni si fecero ancor più evidenti e necessitarono di essere affermati e descritti. Sentimenti ed emozioni chiesero dignità e risarcimento, reclamarono un loro spazio, un luogo organizzato sì con raziocinio e pragmatismo - come si conveniva al mutato segno dei tempi - ma dove gli fosse comunque riconosciuto un valore irrinunciabile in quanto strumento di conoscenza, un luogo dove magari fosse anche possibile trovare una qualche armonia con i ben più algidi strumenti del nuovo mondo. Questo anelito non si è affatto estinto e ancora oggi, per un verso o per l’altro, il cosiddetto «mainstream» di ambientazione realistica può essere considerato alla stregua di un romanzo sentimentale, e dunque di genere. Il che implica un’altra considerazione ovverosia che, per un verso o per l’altro, qualsiasi forma romanzesca presuppone la letteratura di genere e in una certa misura inevitabilmente vi tende. Non è dunque così assurdo affermare che tutti i romanzi sono, ciascuno a suo modo, romanzi dell’orrore. Ma l’orrore non è soltanto il capostipite di ogni genere, dal poliziesco al fantascientifico. È molto di più. Perché è in sentimenti di orrore e angoscia che piomba l’animo umano ogni qualvolta viene messo alla prova da pulsioni ed emozioni che trascendono l’assunto per cui la ragione è la strada maestra di giustizia e verità. Alla resa dei conti l’orrore è dunque il cuore tenebroso che batte nell’intimo di tutta la letteratura di stampo romanzesco.