Mircea Cărtărescu, Solenoide, 2015

In autunno fui chiamato per il servizio militare e, per la durata di nove mesi, mi fecero dimenticare le poesie e le mie arie da letterato. So smontare e rimontare il Kalashnikov automatico modernizzato. So affumicare il mirino col fumo del manico di uno spazzolino da denti bruciacchiato, perché non brilli al sole, sul poligono di tiro. Ho ficcato, una dopo l'altra, venti cartucce in un caricatore d'inverno, a venti gradi sottozero, prima di subentrare nel turno di guardia in un angolo sperduto dell'unità militare, nel vento gelido e nella desolazione, dalle tre di notte fino alle sei del mattino. Mi sono trascinato per un chilometro nel fango, con la maschera antigas sul volto e lo zaino di trenta chili in spalla. Ho inspirato e ho espirato zanzare, cinque o sei per ogni centimetro quadrato della camerata. Ho lavato cessi e ho sfregato le assi di legno dell'impiantito con lo spazzolino. Mi sono rotto i molari con le gallette e ho mangiato patate con tutta la buccia dalla gavetta. Ho intonacato i tronchi degli alberi dell'unità militare. Mi sono azzuffato con un compagno per una scatoletta di pesce. Un altro commilitone è stato sul punto di infilzarmi con una baionetta. Non ho letto nessun libro, in realtà neanche un rigo, nel corso di nove mesi. Non ho scritto e non ho ricevuto nemmeno una lettera. Solo la mamma mi faceva visita a settimane alterne, e ogni volta mi portava un pacco con del cibo. Il servizio militare non mi ha reso più maschio, anzi ha accresciuto la mia introversione e la mia solitudine. Mi stupisco ancora adesso di essere sopravvissuto.