Edvard Radzinskij, Rasputin, 2000

È strano, ma l'idea era condivisa da tutta l'intellighenzia russa, persino quella più radicale, che odiava gli zar e ne era odiata. Tutti i pensatori famosi e autorevoli che spesso litigavano tra loro e si smentivano reciprocamente, Tolstoj, Dostoevskij, Turgenev, tutte le diverse correnti del pensiero filosofico russo concordavano su questo concetto: solo il popolo semplice, umile, analfabeta e oppresso possedeva una sua intima verità. Solo nelle tenebre delle umili casupole contadine era ancora vivo lo spirito autentico di Cristo, che si conservava grazie alla sofferenza costante. Da esso si doveva imparare come vivere in modo saggio e cristiano.
E si verificò una cosa curiosa: anche lo zar russo professava queste idee. Quell'imperatore timido, basso di statura, con un portamento tutt'altro che maestoso, si sentiva a disagio ai balli e alle riunioni ufficiali, nell'ambiente dei cortigiani e dei ministri, dove gli sembrava sempre di essere paragonato al padre defunto, il gigante. Ed era invece felice tra le persone semplici, in un'atmosfera di venerazione, di devozione.