Ermanno Cavazzoni, Il limbo delle fantasticazioni, 2009

Siamo circondati da cose finte. Non è un male. Siamo immersi nei simboli, in tutta la gamma dei loro tipi, che vanno dall’analogico all’arbitrario; col vantaggio che una zampa di leone che fa da piede ad un mobile non mette a rischio d'estinzione la specie, non mette a rischio il cacciatore africano, non fa le tarme e non perde pelo come la roba imbalsamata, e nello stesso tempo dà luogo occasionalmente a qualche modesta fantasticheria in un bambino più che se un mobile fosse essenziale e razionalista; e così dicasi per i pomelli d’ottone dei cassetti che a volte sembrano mani, che però se fossero mani davvero farebbero schifo; «di chi sono?» ci si chiederebbe, che avere le mani di un morto in casa, fosse anche un prozio, forse farebbe molto fantasticare e nutrirebbe l’inconscio, ma prima di tutto se ci si mette su questa strada, un prozio sarebbe poco e basterebbe per un solo cassetto, e coi piedi ci si farebbero due piedi di un tavolo e per gli altri due si dovrebbe ricorrere alla prozia, che però in genere vive di più, e si dovrebbe aspettare, cosicché nel frattempo il tavolo sarebbe storto, a meno di non ricorrere a un altro parente, rompendo però quella simmetria tra la mobilia e la vita che, se il prozio e la prozia sono sempre vissuti insieme d’accordo, non si vede perché da morti non debbano continuare insieme a sostenere un tavolo, o a fornire le maniglie per due cassetti; se ce n’è un terzo è meglio pensare a una persona che sia stata loro cara o molto vicina, una cameriera, una badante, o una figlia rimasta sempre signorina in casa con loro, in modo da ricostituire il nucleo famigliare nelle maniglie di un mobile.