Rachel Cusk, Transit, 2016

Un mio amico, depresso dopo il divorzio, di recente mi aveva confessato che gli capitava di commuoversi fino alle lacrime di fronte alla preoccupazione per la sua salute e il suo benessere espressa dal lessico degli slogan pubblicitari e delle confezioni alimentari, o dalle voci automatiche su treni e bus, così ansiose di ricordargli la sua fermata; al momento provava qualcosa di assai simile all'amore per la voce femminile che, quando era al volante, lo guidava con molta più dedizione di quanto avesse mai fatto sua moglie. Si è attinto a piene mani, mi ha detto, dal linguaggio e dalle informazioni della vita e chissà che il finto-umano non sia ormai più reale e comunicativo dell’originale, che si possa ricevere più tenerezza da una macchina che da un nostro simile. Dopo tutto, l'interfaccia meccanizzata era il distillato non di uno ma di molteplici esseri umani.