Václav Havel, Un uomo al Castello, 2006

Ho tenuto un discorso a Parigi per i rappresentanti delle maggiori corporazioni sopranazionali, veri e propri padroni dell’attuale mondo globalizzato. Mi ero preparato un discorso molto forte in cui criticavo il comportamento delle grandi corporazioni, la loro assoluta mancanza di rispetto, l’omologazione del mondo, l’onnipresente dittatura della pubblicità e del profitto etc. etc. Prima del discorso, che ho letto in inglese, ero oltremodo nervoso, perché temevo di essere fischiato oppure che tutti se ne andassero per protesta. È successo esattamente il contrario: mi hanno ascoltato con estrema attenzione e alla fine ho ricevuto un battimani enorme, addirittura hanno applaudito in piedi.
Esistono tre spiegazioni possibili:
1. Non hanno applaudito il mio discorso, ma la mia persona, cioè il simbolo, quella mia storia di vita un po’ da fiaba con un curioso happy end.
2. Applaudivano se stessi, l’infinito potere e le ricchezze di cui dispongono, che hanno permesso loro di ingaggiare un critico feroce del loro operato e di rendergli omaggio, snobbando nel frattempo, in maniera elegante, le sue idee.
3. Non escludo affatto la possibilità che mi abbiano applaudito semplicemente perché erano d’accordo con me, erano contenti che qualcuno avesse parlato in loro vece. Infatti, molti di loro non esprimono, con il comportamento, la loro reale opinione sul mondo e sul progresso, ma sono trascinati dall’enorme “autocinesi” della civiltà contemporanea, contro la quale non hanno il coraggio di parlare per non mettere a rischio la propria agiatezza, ben consci però della sua ambiguità.