Giuseppe Berto, Dopo la rovina, 1953

Per la prima volta nella nostra storia avevamo assunto un ruolo da protagonisti e siamo clamorosamente falliti. Ed ora, invece di additare le cause di quel fallimento nelle nostre ambizioni sbagliate e nella nostra incapacità a svolgere un compito che evidentemente non era il nostro, ci ostiniamo ad incolpare pochi, come se noi in quel tempo non avessimo partecipato alle vicende di cui eravamo bene o male attori. È troppo facile dire: ci hanno ingannati. Bisognava avere la stoffa della gente che non si lascia ingannare. Ed è ancora più disonesto dire: non ci hanno ingannati ma ci hanno costretti, e noi da furbi siamo vissuti in attesa del giorno in cui tutto il castello delle ridicolaggini retoriche sarebbe crollato. Bisognava avere la stoffa della gente di ribellarsi alle cose ridicole che portano alla rovina. Invece non abbiamo fatto nulla, siamo andati da ignavi incontro alla nostra più grande disfatta. [...] Il popolo aveva paura, i soldati avevano paura. Troppi scappavano appena era possibile, io per primo. Non c'è vergogna a riconoscerlo. È assurdo pensare che tutta la grandezza di una nazione consista nella più grande capacità di affrontare la morte o di dare la morte. La guerra non è la più nobile tra tutte le cose, ed è ridicolo che ci ostiniamo a predicarlo noi, che la guerra da molti secoli non la sappiamo fare.