Vincent Message, Cora nella spirale, 2019

La cosa più toccante è pensare che per quanti lo hanno vissuto quel tempo era il presente, la sola epoca che avrebbero conosciuto in prima persona, e che doveva apparirgli incredibilmente moderna: erano l’avanguardia, ma d’altronde siamo tutti condannati a esserlo, e dovevano fronteggiare un avvenire popolato da fantasmi ancor più sfumati di quanto non lo siano loro ai nostri occhi, senza sapere cosa sarebbe venuto dopo, da dove sarebbero sbucate le mode, le espressioni, gli atteggiamenti e i punti di vista che li avrebbero resi antiquati. La cosa che più mi piaceva durante quei tre anni trascorsi a studiare storia tra le mura della Sorbona, prima di deviare verso il giornalismo, la cosa che più mi entusiasmava, anche se non sapevo ancora darle un nome, era proprio questo dialogo tra fantasmi che si osservano attraverso la coltre dei decenni. Più o meno sbiaditi, e presumibilmente desiderosi di vedersi restituita la vita dei colori, se ne stanno lì, immensa folla immobile e raccolta, costretta a galleggiare nella spirale del tempo in attesa di qualcuno che arrivi a ricomporne il profilo e a ravvivarne la voce, facendone il soggetto inconsapevole di quei tentativi di resurrezione che non funzionano mai fino in fondo. Se ne stanno lì e basta, immobili, muti.