Octavio Paz, discorso per il premio Nobel, 8 dicembre 1990

Nella mia peregrinazione in cerca della modernità mi sono perso e mi sono ritrovato molte volte. Sono tornato alla mia origine e ho scoperto che la modernità non è fuori ma dentro di noi. È oggi e l'antichità più antica, è domani e l'inizio del mondo, ha mille anni ed è appena nata. Parla in nahuatl, traccia ideogrammi cinesi del IX secolo e appare sullo schermo della televisione. Presente intatto, appena dissotterrato, che si scuote la polvere dei secoli, sorride e, all'improvviso, si mette a volare e scompare dalla finestra. Simultaneità di tempi e di presenze: la modernità rompe con il passato immediato solo per riscattare il passato millenario e convertire una statuetta della fertilità del neolitico in nostra contemporanea. Inseguiamo la modernità nelle sue incessanti metamorfosi e non riusciamo mai ad afferrarla. Sfugge sempre: ogni incontro è una fuga. La abbracciamo e in quell'attimo essa si dissolve: era solo un poco d'aria. È l'istante, quell'uccello che è dovunque e in nessun luogo. Vogliamo catturarlo vivo ma lui apre le ali e scompare, trasformato in un pugno di sillabe. Restiamo a mani vuote. Allora le porte della percezione si schiudono e appare l'altro tempo, il vero, quello che cercavamo senza saperlo: il presente, la presenza.