Roberto Bolaño, intervista 2001

Tutta la letteratura, in un certo senso, è politica. Voglio dire che è innanzitutto una riflessione sulla politica, e poi anche un programma politico. Il primo postulato allude alla realtà, all’incubo o al sogno benevolo che chiamiamo realtà e che finisce, in entrambi i casi, con la morte e l’abolizione non solo della letteratura ma anche del tempo. Il secondo postulato si riferisce alle briciole che sopravvivono, che permangono, e alla ragionevolezza, pur sapendo naturalmente che nella scala umana delle cose la permanenza è un’illusione, e che la ragionevolezza è solo un fragile steccato che ci impedisce di precipitare nell’abisso.

Enrico Remmert, Rossenotti, 1997

Ci vorrebbe un tasto FFWD per certe giornate, per certi periodi della propria vita. Un tasto FFWD, come nei mangianastri e nei video-registratori, fast forward, avanti veloce... per saltare d'un balzo intere ore, interi giorni, intere settimane: saltarli, non viverli, del tutto.
E se avessimo tutti i tasti? Ve lo immaginate? Poter schiacciare REWIND, riavvolgimento... e tornare indietro ai momenti più aguzzi della nostra vita... poi premere il taso di moviola e riviverli piano piano... oppure, ogni tanto, schiacciare STOP e fermarsi, fare una pausa, staccarsi da tutto. Non sarebbe meraviglioso?
Probabilmente no, siamo esseri umani. Se avessimo tutti questi tasti allora ne desidereremmo uno solo, il tasto PLAY, come in questa vita qua, il tasto PLAY, avanti inesorabilmente, con un tastino REWIND depotenziato, che si chiama memoria, e un tastino STOP depotenziato, che si chiama sonno... e sempre in attesa che chi ha premuto PLAY e ci ha iscritto a questo gioco, prema EJECT e ci richiami a sé.

Peter Godfrey-Smith, Altre menti, 2016

I cefalopodi sono un'isola di complessità mentale nel mare degli invertebrati. Poiché il nostro più recente antenato comune era una creatura semplicissima ed è tanto lontano nel tempo, i cefalopodi rappresentano un esperimento indipendente nell'evoluzione di grandi cervelli e comportamenti complessi. Se è possibile stabilire con loro un contatto come esseri senzienti, non è per via di una storia condivisa, non è per via di un'affinità - ma perché nel corso dell'evoluzione la mente si sviluppò due volte. È probabile che questo sia quanto di più vicino all'incontro con un alieno intelligente ci possa mai capitare.

Ali Smith, L'una e l'altra, 2014

Perché se davvero le cose succedessero simultaneamente sarebbe come leggere un libro con le righe stampate una sopra l’altra, come se ogni pagina in realtà fossero due pagine sovrapposte di cui una rende illeggibile l’altra. Perché è Capodanno e non maggio, e questa è l’Inghilterra e non l’Italia, e fuori piove a catinelle e con tutto che piove si sentono quegli stupidi botti che la gente spara a Capodanno, bum bum bum, come una piccola guerra, perché ci sono persone che stanno fuori sotto la pioggia a catinelle, con l’acqua che va a finire nei bicchieri di champagne, e loro con la faccia in su a guardare quei fuochi d’artificio (tristemente) inadeguati che si illuminano e si spengono.

Albert Camus, L'uomo in rivolta, 1951

La rivolta metafisica presuppone infatti una visione semplificata della creazione, che i greci non potevano avere. Non c’erano per loro da una parte gli dèi, e dall’altra gli uomini, ma diversi gradi che conducevano dagli ultimi ai primi. L’idea di un’innocenza opposta alla colpevolezza, la visione di una storia riassumentesi tutta nella lotta tra il bene e il male, erano loro estranei. Nel loro universo, vi sono più errori che delitti, solo delitto definitivo essendo la dismisura. In un mondo totalmente storico quale minaccia di essere il nostro, non ci sono più errori, al contrario, ci sono soltanto delitti, primo dei quali la misura. Si spiega così lo strano misto di ferocia e d’indulgenza che spira dal mito greco.

Louis-Ferdinand Céline, lettera a Paulhan, 1949

In letteratura tutto è crollato dopo l’arrivo del cinema, ma gli scrittori non sembrano averlo previsto, ammesso, nulla di nulla. Ora senza rendersene conto fabbricano tutti trame di sceneggiature. Anche i romanzi di Flaubert, Hugo, Loti, Balzac! Allora meglio il cinema, al romanzo resta un solo spazio: l’emotività diretta. Tutto il resto è occupato dal film, totalmente! Un tempo (prima del film) si potevano chiedere al lettore sforzi di immaginazione che oggi rifiuta nel modo più assoluto.

Marta Cai, Enti di ragione, 2019

I fantasmi sono di compagnia, finché non innescano la sfilata dei chissà semplici – chissà cosa fa lui adesso, chissà com’è diventato – e quella dei chissà accompagnati da i se – chissà se ogni tanto mi pensa, chissà se avessi avuto un figlio da lui, chissà se non avessi sposato Giuseppe. Quando arrivava a quel punto Marina smetteva, disgustata dalla banalità dei suoi rimpianti.

Ursula Le Guin, I sogni si spiegano da soli, 1973

C’è gente che sa parlare al telefono. Deve riporre una grande fiducia nell’apparecchio. Per me il telefono serve a prendere un appuntamento dal dottore e a cancellare un appuntamento dal dentista. Non è un mezzo di comunicazione umana. Non riesco a stare lì in corridoio con un ragazzino e un gatto che mi gironzolano tra le gambe, che si mettono a saltellare e fare le fusa chiedendo biscotti e croccantini, e al tempo stesso spiegare a una voce disincarnata che mi parla all’orecchio che lo spettro junghiano di introversione/estroversione può essere efficacemente applicato non soltanto agli esseri umani ma anche a chi scrive. E cioè, ci sono scrittori e scrittrici che desiderano parlare di sé stessi, ne hanno bisogno, non so, tipo Norman Mailer, e poi c’è chi invece desidera e ha bisogno di privacy.

Flannery O’Connor, Rivelazione, 1964

A volte, la notte, quando non riusciva a dormire, la signora Turpin studiava il problema di chi avrebbe voluto essere se non avesse potuto essere lei. Se, prima di farla, Gesù le avesse detto: “Ci sono solo due posti disponibili, per te. Puoi essere una negra o una bianca povera”, lei cos'avrebbe risposto? “Ti prego, Gesù, ti prego” gli avrebbe detto, “lasciami aspettare finché viene libero un altro posto”. E lui le avrebbe detto: “No, devi andare subito e hai solo quei due posti, perciò deciditi.” Lei avrebbe tergiversato, avrebbe pregato e supplicato, ma non sarebbe servito a nulla, e alla fine avrebbe detto: “Va bene, allora fai di me una negra... Ma non una negra povera, s'intende.”. E lui l'avrebbe fatta una brava negra pulita e rispettabile; sempre lei, ma nera.

Régis Jauffret, Microfictions 2018

Sono uscita tra le risate. Ho fatto un buco nell’acqua dappertutto. Né i negozianti né l’ambulatorio dentistico di Place Marechal né il nostro medico di famiglia mi hanno concesso nemmeno un part-time. Allora ho risposto a un annuncio apparso sul “Midi libre”. Mi hanno chiesto cinquecento euro per coprire le spese del mio incarico di direttrice di un negozio di generi alimentari virtuale della zona. Mio marito ha sostenuto che si trattava di una truffa e si è rifiutato di anticiparmi quel denaro.
«E allora cosa facciamo, Joël?»
«Ti assumo io».
Ho creduto che mi avesse trovato un posto alla concessionaria. In realtà mi proponeva di occupare una casetta isolata a trecento chilometri da casa nostra in cambio di un misero stipendio mensile. Non si trattava di lavorare né di rendersi utile, sarei stata remunerata semplicemente per non essere più lì. Ho rifiutato, ma Carole mi ha consigliato di accettare piuttosto che scontentarlo rischiando di finire vittima di un dramma coniugale. In Francia ogni tre giorni una donna muore per mano del proprio marito.
«Sarebbe un peccato se tu finissi nelle statistiche».

Iris Murdoch, Proceeding of the Aristotelian Society: Dreams and Self-Knowledge, 1956

A chi afferma «Le statistiche mostrano che la gente lo fa costantemente, dunque deve essere giusto» (modello molto comune di argomento) si dovrebbe far presente che in questo modo si occulta il presupposto «Ciò che è abituale è giusto». Ci si deve anche rendere conto (si dovrebbe sostenere) che «Ciò che è abituale è giusto» è un giudizio morale liberamente sottoscritto da chi lo sostiene e non una definizione di ciò che è «giusto».

Sara Gamberini, Maestoso è l'abbandono, 2018

Una sera una donna ci ha chiesto se poteva sedersi accanto a noi, aveva bisogno di stare vicino a qualcuno. La donna parlava da sola, sembrava una persona impazzita da poco, una che stava impazzendo per la prima volta in quei giorni. Il volto non era ancora stravolto dai dubbi, i discorsi erano lineari e persecutori ma il delirio era illuminato da una piccola certezza, da un contatto privilegiato con tutto, ancora privo di angoscia. Inconfondibili, nei suoi occhi, alcuni sprazzi di speranza. Diceva che stare nella nostra città era diventato difficile ma che per il momento non ci potevamo muovere da lì. Ha percepito qualcosa, me lo ha indicato, per contrastare quella forza sarebbe arrivato a breve un uomo, una specie di uomo, ha aggiunto. Poi si è alzato il vento, finalmente il vento, ha detto, vedi? Questo è un segnale.

Vitaliano Trevisan, Il delirio del particolare, 2017

BERNARDI: Il fatto è
cara signora
che un vero architetto non preferirà mai un albero
alla possibilità di costruire qualcosa
anche se
alla fine
avrà comunque l'impressione di aver sbagliato tutto
com'era appunto il suo caso
un tempo
In architettura non ci sono certezze
diceva
(rifiutando lo zucchero)
tutto è opinabile in architettura
e una volta finito il lavoro
il retrogusto è sempre amaro
Una specie di malinconia
diceva
ogni volta che torno sul luogo del delitto
è questo che provo

Paolo Zanotti, Trovate Ortensia!, 2001

Si può vedere come si muovono, in ogni caso, probabilmente il movimento è un prolungamento del corpo. Da una parte è questione di agilità e di elasticità. Forse dipenderà anche dall'ora, la mattina il passo è più leggero, però sembrano scivolare scappare da tutte le parti. Un corpo agile però sarà anche un corpo migliore, abituato a muoversi. E allora perché il movimento non dovrebbe essere proprio l'involucro del corpo, una specie di luminosità che rivela i muscoli e le spalle e la qualità della pelle e i tendini delle gambe. Se si mangiassero i corpi della gente, bisognerebbe mangiarli finché sono così, come le nuvole. Arrivata una certa età, si prende il corpo, gli si dà una riaggiustata, per bene, per bene, lo si mette nell'armadio con tutto quello che potrebbe servire a non farlo marcire subito, lo si lascia lì: da quel giorno in poi si porterà in giro solo il vestito.

Michel Rouche, La vita privata dall'Impero romano all'anno Mille, 1985

Come precisa il concilio di Leptines (744), alcuni credono «che le donne si danno in potere della luna, come i pagani, per riuscire a conquistare il cuore degli uomini». Ancora per molto tempo la donna resterà un mistero, ora benefico ora malefico, fonte di felicità e di disgrazia, purezza terrificante, ma impurità distruttrice. Ai giovani sposi, per pacificare l'angoscia e gli dèi, veniva offerta una coppa di idromele, l'alcol prodotto dalla fermentazione del miele. Un tranquillante, un euforizzante, un antidoto ai filtri d'amore, allo stesso tempo forte e tenero, che doveva dar loro il coraggio necessario per penetrare nei misteri della carne. È questa l'origine dell'espressione tanto rivelatrice «luna di miele», che designa quella fase di fusione completa dei coniugi, quell'impressione di coincidenza con il mondo nello smarrimento di se stesso nell'altro, che ben conoscono le giovani coppie. Era il modo per esorcizzare i furori amorosi sì da vivere altre lune e salvare l'ordine del mondo.

Dario Voltolini, intervista “Maltese”, dicembre 1996

Tutte le lingue hanno la stessa gamma di possibilità denotative, cioè possibilità di significare. Questo significa che le lingue si somigliano quando devono dire delle cose, ma si differenziano per il suono che fanno dicendole. Tutte le lingue umane sono così. Ora, io scrivo in italiano. Dico cose che potrei dire in giapponese, se lo conoscessi. Ma dico comunque cose che “suonano” in italiano e che non suonerebbero allo stesso modo in giapponese. Per tutti è così. Ma, poiché una regola canonica della scrittura in prosa ha sempre detto di fare in modo che la frase non richiami l'attenzione su di sé (con rime interne, assonanze o cacofonie, ripetizioni ravvicinate, e così via), ecco che chi scrive in prosa cerca di combinare le parole in modo che il loro suono non copra il loro significato. Questo grado zero della sonorità può essere raggiunto solo perché il suono della lingua madre ci accompagna sempre e qualcosa che gli si accordi passa sullo sfondo. Non già perché sia possibile in assoluto azzerare il suono della lingua. Questo va tenuto ben presente. Ecco però allora che a me vien voglia spesso - non sempre - di farlo invece ben percepire, questo suono, uno di questi suoni dell'italiano. Se io ascolto uno che mi legge un brano in una lingua sconosciuta, ciò che sento è uno dei possibili modi in cui quella lingua suona. Se invece ascolto uno che mi legge in italiano, ciò che sento è tendenzialmente non il suono dell'italiano, ma il significato di quello che mi sta dicendo. Naturalmente con gran parte dei componimenti poetici accade che anche il suono della mia lingua mi risulti percepibile, oltre al senso delle parole. È come capire una lingua sentendola però suonare come se fosse sconosciuta e straniera. Non dico che questo sia un compito della poesia, però è indubbio che sia uno dei suoi possibili effetti. Ecco, a me piace l'idea di azzardare qualche passo in questa direzione anche scrivendo - e amando scrivere - in prosa.

Jacqueline Pascal, lettera, 23 giugno 1661

Nessuno impedisce a tutti gli ecclesiastici di Francia che conoscono la verità, quando si presenta loro il Formulario da firmare, di rispondere: conosco il rispetto che devo ai signori vescovi, ma la mia coscienza non mi permette di firmare che una cosa è in un libro in cui io non l'ho vista; dopo attenderò con pazienza ciò che ne deriverà.

Maurizio Ferraris, intervista “Le parole e le cose”, 19 giugno 2017

Veniamo al mondo molto giovani in un mondo molto vecchio, diceva Eric Satie. Dunque, nasciamo pieni di bisogni e ci troviamo in un mondo estremamente strutturato. Su di noi incombono figure autoritarie (e se non incombono è ancora peggio): genitori, insegnanti. Poco alla volta, insieme al linguaggio e alle buone maniere a tavola, impariamo anche a rispondere a chi ci interpella, con quella struttura fondamentale di imputazione che è il nome proprio. È da questa struttura fondamentale, io credo, che derivano le nostre intenzioni, le nostre idee, e la nostra responsabilità in senso elevato, ossia il rispondere di, l’essere responsabili delle proprie azioni anche senza che nessuno ci obblighi a farlo e stia a osservarci con il fucile spianato. Ciò, ovviamente, non avviene di default, ma può avvenire, così come può avvenire che siamo in grado di agire liberamente. Ma si tratta del punto di arrivo, raro e accidentato, non del punto di partenza.

Miklós Mészöly, La morte dell'atleta, 1966

Esiste una forma di distacco più inesplicabile, anche quando si va ancora a letto insieme, si fa colazione insieme, e forse si prova ad amare ancora più di prima. Ma non dipende soltanto da questo. A un certo punto arriva il giorno in cui comincia a profilarsi un paesaggio (non trovo una parola o un'immagine migliore, ma nel caso di Bálint non è solo un'analogia), un paesaggio in cui sai che può entrare solo l'altro, per quanto possa vederlo anche tu.

Michel Serres, Il mancino zoppo, 2015

Gli psicologi di ogni scuola descrivono la costruzione dell'identità personale attraverso le relazioni parentali. Certo. La vita esclusiva in città sterili, e alcune conoscenze limitate alle scienze umane e sociali, forse li hanno trascinati verso questa strana e gretta limitazione. La Garonna, i suoi vortici, le piene e le alose, le sabbie e i pioppi mi hanno creato almeno quanto mia madre; le allodole, le siepi, i raccolti e i pruni quanto mio padre, agricoltore e marinaio; ma anche l'estatica felicità che, qualche tempo dopo, mi fu offerta dall'alto mare, dall'alta montagna, dal deserto orizzontale, frammenti di pianeta senza uomini, contribuì al mio sviluppo, tanto più che, nello stesso tempo, imparavo le scienze e capivo in mezzo a chi e da quando vivevo, o quale flusso del mondo mi avesse messo al mondo.

Annemarie Schwarzenbach, Gli amici di Bernhard, 1931

Il sabato dopo Ines se ne andrà di nuovo, con Flock e Gert, senza curarsi degli eventuali danni alla sua reputazione. Ma, per non addolorarlo, non si consulterà con suo padre, che ha motivi così convincenti e senza dubbio giusti per difendere l’importanza di questa reputazione. Il fatto compiuto è sempre meno grave rispetto a quello discusso ed esaminato in ogni dettaglio; Ines lo sa per esperienza.

Marco Drago, La bohème, 2025

Quelli che non lavoravano perché potevano farne a meno non erano molti, anche i figli di industriali e di commercianti qualcosa lo facevano, venivano su abbronzati a febbraio e parcheggiavano la BMW, ma anche loro dopo aver finito di lavorare. Lavorare ci dava dignità, l’unica forma di vera dignità derivava dal fatto di lavorare, le leggi non scritte erano quelle, più facile trovare un lavoro che non trovarlo, non lavorare era sì una scelta personale, ma era una scelta rara, impopolare e in fondo non aveva senso. La zolla di pianeta Terra su cui eravamo stati depositati non offriva alternative al lavoro, lavorare ci permetteva di non pensare al nulla da cui eravamo circondati e il nulla è un bel casino; se si pensa al nulla si diventa matti, ma se si lavora tutto il giorno, se ci si concede giusto qualche ora di libertà dopo cena, al nulla non ci si pensa mica, si pensa a quel poco che si riesce a pensare dopo aver faticato tutto il giorno e quel poco che si riesce a pensare dopo aver faticato tutto il giorno è davvero poco. Per fortuna. Meno merda che si impiglia nel cervello.

Jorge Wagensberg, “IX Antonio Ruberti Lecture”, 8 novembre 2010

All'inizio della vita animale, quando nessun organismo possedeva una propria mobilità, cioè quando gli organismi erano stati ancorati a un punto nello spazio, come i cirripedi, o quando andavano alla deriva come le meduse, quantunque mangiassero, ciò avveniva in modo casuale. Si mangiava perché si incontravano particelle di nutrienti che passavano di lì.
Questa semplice strategia funziona se l'ambiente è sufficientemente ricco di sostanze nutritive. In caso contrario, per aumentare le probabilità di nutrirsi non c'è altra scelta che “inventare” la mobilità. Se una particella di cibo passa vicino, a meno che non sia troppo lontana, che non vada perduta! Ciò che è necessario è un movimento minimo ma finalizzato. Non un movimento qualunque, ma uno preciso affinché la particella non sfugga. Tuttavia se nessuna particella di cibo ci passa vicino, allora il movimento necessario diventa molto più drastico e sofisticato. In questo caso sono necessari non solo un buon metodo per orientarsi, ma anche un metodo per seguire le tracce del possibile pasto. Non si tratta più di avere un ultimo piccolo aiuto, ma di organizzare un'«uscita» con il fine ultimo di trovare il nutrimento. Il cervello è stato inventato per questo: per uscire di casa. E una delle sue caratteristiche, la memoria, per tornare indietro! Ha avuto inizio così, più di 500 milioni di anni fa, la corsa verso la conoscenza intelligibile, la strategia migliore per compensare i capricci dell'incertezza.

Carl Gustav Jung, Il segreto del fiore d'oro, 1929

Lévy-Bruhl ha fatto rilevare, con geniale acutezza, come ciò che egli chiamava participation mystique fosse un segno caratteristico della mentalità primitiva. Con questo termine egli indicava semplicemente il grande residuo indeterminato dell’indiscriminazione tra soggetto e oggetto, che tra i primitivi assume ancora tali dimensioni che non può non colpire il “coscienzioso” europeo. Se la differenza tra soggetto e oggetto non diviene consapevole, prevale allora un’identità inconscia. L’inconscio viene poi proiettato nell’oggetto e l’oggetto introiettato nel soggetto, e cioè “psicologizzato”. Ed ecco che animali e piante si comportano come uomini, gli uomini sono allo stesso tempo animali, e tutto è animato da spiriti e divinità.
L’uomo civilizzato si crede naturalmente mille miglia superiore a queste cose. Spesso invece egli si identifica per tutta la vita con i suoi genitori o con i suoi affetti e pregiudizi e accusa senza ritegno gli altri di ciò che non vuole riconoscere in sé stesso. Anch’egli dispone infatti di un residuo dell’inconsapevolezza originaria, cioè dell’indiscriminazione tra soggetto e oggetto.
Grazie a questa inconsapevolezza egli subisce l’influenza magica di un’infinità di uomini, cose e circostanze, è cioè influenzato incondizionatamente; poiché è posseduto da contenuti disturbanti quasi quanto il primitivo, necessita di altrettanti incantesimi apotropaici. Non si serve più di talismani, amuleti e sacrifici animali ma di tranquillanti, nevrosi, razionalismo, culto della volontà e così via.

Vincent Message, Cora nella spirale, 2019

La cosa più toccante è pensare che per quanti lo hanno vissuto quel tempo era il presente, la sola epoca che avrebbero conosciuto in prima persona, e che doveva apparirgli incredibilmente moderna: erano l’avanguardia, ma d’altronde siamo tutti condannati a esserlo, e dovevano fronteggiare un avvenire popolato da fantasmi ancor più sfumati di quanto non lo siano loro ai nostri occhi, senza sapere cosa sarebbe venuto dopo, da dove sarebbero sbucate le mode, le espressioni, gli atteggiamenti e i punti di vista che li avrebbero resi antiquati. La cosa che più mi piaceva durante quei tre anni trascorsi a studiare storia tra le mura della Sorbona, prima di deviare verso il giornalismo, la cosa che più mi entusiasmava, anche se non sapevo ancora darle un nome, era proprio questo dialogo tra fantasmi che si osservano attraverso la coltre dei decenni. Più o meno sbiaditi, e presumibilmente desiderosi di vedersi restituita la vita dei colori, se ne stanno lì, immensa folla immobile e raccolta, costretta a galleggiare nella spirale del tempo in attesa di qualcuno che arrivi a ricomporne il profilo e a ravvivarne la voce, facendone il soggetto inconsapevole di quei tentativi di resurrezione che non funzionano mai fino in fondo. Se ne stanno lì e basta, immobili, muti.

Émile Zola, Teresa Raquin, prefazione alla seconda edizione, 1868

È necessaria tutta la preconcetta cecità di una certa critica per obbligare un romanziere a scrivere una prefazione. Poiché per amore di chiarezza ho commesso l'errore di scriverne una, chiedo scusa alle persone intelligenti, che non hanno bisogno, per veder chiaro, che gli si accenda una lanterna in pieno giorno.

Paolo Maccari, Ballata di Memmo e del Biondo, 2025

Avevo lasciato solo mio padre che stava morendo e lo sapeva e ne voleva essere consolato. Provavo rancore verso di lui, per questo: non si ricordava che i figli non consolano i padri, che i figli sono egoisti? Non poteva ricordarlo: non l'aveva mai saputo. E anch'io imparavo questa regola solo per togliermi un po' di strazio, senza riuscirci. Mi veniva da tornare indietro e provare a consolarlo. Ma era un pensiero pauroso. Rientrare in quella camera bianca, tra quegli odori. Almeno per quella sera ero uscito, ero giovane, ero in salute. Volevo gustare solo quella sensazione. Ci avrei rinunciato soltanto se, tornando indietro, avessi potuto dire a mio padre che era guarito, che lo portavo via. Fantasticavo la scena, mentre guidavo verso gli amici che mi aspettavano in birreria.

Georges Simenon, L'uomo che guardava passare i treni, 1938

Quanto a essere un buon padre, non lo credo. Non ho mai detestato i miei figli. Quando sono nati, ho detto che erano belli per compiacere maman, ma li trovavo orrendi e da allora non ho cambiato di molto la mia opinione.
Si dice che mia figlia è intelligente perché non parla mai, ma se non parla è perché, ne sono convinto, non ha niente da dire. Per di più è presuntuosa, fierissima di mostrare alle amiche la bella casa in cui abita. Una volta ho colto la seguente conversazione:
«Che cosa fa tuo padre?»
«È direttore della ditta de Coster e soci...»
Il che è falso, capisce? Quanto al ragazzo, non ha nessuno dei difetti della sua età, perciò sono incline a pensare che non combinerà niente di buono nella vita.

Jack Kerouac, Sulla strada, 1957

Terry mi portò la colazione. Avevo già preparato la sacca ed ero pronto a tornare a est, non appena avessi preso quei soldi a Sabinal. Sapevo che erano lì ad aspettarmi. Dissi a Terry che andavo via. Lei ci aveva pensato tutta la notte ed era rassegnata. Senza emozione mi baciò nelle vigne e si allontanò lungo il filare. Ci girammo dopo una dozzina di passi, perché l'amore è un duello, e ci guardammo per l'ultima volta. «Ci vediamo a New York, Terry», dissi. Lei doveva venire con suo fratello di lì a un mese. Ma sapevamo entrambi che per qualche motivo non ci sarebbe riuscita. A cento piedi mi girai per guardarla. Tornò alla capanna, portando in mano il piatto della mia colazione.

Pierre Bourdieu, “Liber”, ottobre 1989

Da dove le deriva questa straordinaria perspicacia, la stessa che, ad esempio, mentre ascolta una delle solite conversazioni fra uomini su argomenti così futilmente seri come le radici cubiche o quadrate, Voltaire e Madame de Staël, il carattere di Napoleone, il sistema francese di proprietà rurale etc., le consente di indovinare «i sentimenti e i pensieri di ciascuno»? Estranea ai giochi maschili e all'esaltazione ossessiva dell'io e delle sue pulsioni sociali che essi impongono, vede con naturalezza che le prese di posizione apparentemente più pure e più appassionate a favore o contro Walter Scott hanno spesso origine nel desiderio di «farsi valere», come in Tansley, altra incarnazione dell'egotismo maschile; «Egli cercava di farsi valere: una smania che l'avrebbe assillato fin quando non avesse preso la laurea o una moglie. Allora non avrebbe avuto più bisogno d'andar dicendo “Io, io, io”. Giacché tutto quel dispregio per il povero cavaliere Scott (o forse si trattava invece di Jane Austen) era solo un mezzo per ripetere: “Io, io, io”. A quel ragazzo premeva l'altrui considerazione: il tono della sua voce, il suo stesso nervosismo ne davano chiaro indizio alla signora Ramsay».

Paul Valéry, Corso al Collège de France, 1937

Se dunque ci poniamo domande sulla vita, non possono essere che indiscrete, in quanto il nostro io si è sviluppato, mediante l'uso del linguaggio, fino a collocarsi al di fuori della vita medesima: chi pensa omette le condizioni del proprio atto mentale, crede di non essere altro che pensiero, non ha sensibilità per le condizioni necessarie ma nascoste di tale pensiero (e dunque non ha sensibilità per il proprio funzionamento viscerale). [...] Ma la domanda non determina l'esistenza, o la possibilità di una risposta; o meglio, non garantisce niente circa il proprio senso. Di fatto, se la domanda è una questione di sensibilità (un bisogno, una lacuna, una resistenza al corso naturale delle cose), non è detto che la risposta sia della medesima specie, oppure può essere fallace. Esattamente come nel caso dell'uomo affamato che produce immagini allucinatorie di cibi deliziosi.

Yasmina Reza, Babilonia, 2016

Alla fine della conversazione mi dico, sei veramente una persona attenta, ti preoccupi per gli altri. Passano due secondi e penso, che squallore questo autocompiacimento per un'azione così elementare. E subito dopo, brava, ti tieni d'occhio, complimenti. C'è sempre un grande adulatore che ha l'ultima parola. Quand'era piccolo Denner usciva dal confessionale e si fermava sul sagrato di Saint-Joseph des Épinettes, inspirava l'aria a pieni polmoni e si diceva, adesso sono un santo. E subito dopo, scendendo i gradini, cavolo, ho peccato di orgoglio. Per un verso o per l'altro, la virtù non regge. Può esistere solo a nostra insaputa.

Cixin Liu, nota, 28 dicembre 2012

L'ingenuità e la gentilezza con cui l'umanità guarda l'universo rivela una strana contraddizione: sulla Terra, gli uomini possono sbarcare su un altro continente e, senza pensarci due volte, distruggere civiltà affini con guerre ed epidemie. Guardando le stelle, invece, diventano sentimentali, si convincono che, se gli extraterrestri esistono, vivono all'insegna di nobili principi morali, e che curare e amare altre forme di vita fa parte di un indubitabile codice di condotta universale.
Io ritengo che debba essere esattamente il contrario: dovremmo rivolgere la bontà che mostriamo nei confronti delle stelle ai nostri simili sulla Terra e costruire quei legami di fiducia e comprensione con i diversi popoli e civiltà che compongono l'umanità. Ma per quanto riguarda l'universo fuori dal sistema solare, dovremmo sempre stare in guardia ed essere pronti ad attribuire le intenzioni peggiori a quegli Altri che potrebbero esistere nel cosmo. Per una forma di vita fragile come la nostra, questo è senza dubbio l'atteggiamento più responsabile.

Gilda Policastro, Dritto in fondo, dopo il terminal 1, “Snaporaz”, 19 ottobre 2024

è solo quando sono molto stanca
che scrivo versi
come se l’andare a capo
fosse un sedativo blando
o, al contrario, l’estremo sforzo    al decollo
quando le luci si sono abbassate
come poi all’atterraggio       ho pensato
alla morte come nelle poesie brutte
dove la metafora è espressa o
spiattellata con le parole che irritano
i romanzieri: clangore tonanti - e poi descrivono cieli e fiori

Philip Roth, Il teatro di Sabbath, 1995

L'unica precedente occasione in cui Sabbath aveva potuto osservare Matija in pubblico era stato nell'aprile precedente allo scandalo Kathy Goolsbee, quando aveva partecipato alla colazione della trentina di soci del Rotary che si teneva in albergo il terzo martedì di ogni mese, come ospite di Gus Kroll, il padrone della stazione di servizio, che puntualmente raccontava a Sabbath tutte le barzellette sentite dai camionisti che si fermavano a fare benzina e andare in bagno. Sabbath era un ottimo pubblico per Gus, perché, anche nel caso in cui la barzelletta non fosse di primissima classe, il fatto che Gus raramente si desse la pena di mettersi la dentiera per raccontarla forniva a Sabbath uno spasso più che sufficiente. La dedizione appassionata con cui Gus ripeteva queste barzellette aveva da tempo convinto il burattinaio che fossero proprio loro a dare unità alla sua visione della vita, che soltanto le barzellette rispondessero ai bisogni della sua parte spirituale, e costituissero un illuminante filo narrativo grazie a cui Gus riusciva ad affrontare le sue giornate alla stazione di servizio. Ogni barzelletta che sgorgava dalla bocca sdentata di Gus gli rammentava che neanche un sempliciotto come lui era esente dall'umano bisogno di trovare un filo conduttore che tenga insieme tutto ciò che non compare in televisione.

“Politiken”, marzo 2018

Sappiamo bene che l’aereo è un mezzo di trasporto estremamente inquinante - circa venti volte più del treno. Eppure la maggior parte di noi lo usa diverse volte all’anno per le ferie invernali, per quelle estive e per i weekend lunghi, senza che questo ci crei nessun problema di coscienza. Neanche la lunghezza del viaggio ci turba più di tanto. Preferiamo andare in Thailandia piuttosto che salvare l’ambiente. Questo mostrano i dati sul numero di voli, che continuano a crescere anche se la nostra conoscenza dell’effetto serra è aumentata. Che in termini di emissioni un volo da Copenaghen a Bangkok equivalga a duemila viaggi in auto da Copenaghen a Parigi con quattro passeggeri a bordo è un fatto che apparentemente ci scivola addosso.

Aldo Nove, Pulsar, 2024

Ora si tratta di perdurare assenti nell'infinito.
L'infinito è una spiaggia calda su cui appoggiare i piedi e prendere confidenza con il mare. Anche se siamo solo gocce del mare che si sentono oceani, il mare ci riporta dentro un'altra dimensione, quella nostra, svuotata di nomi ed eventi, bruciato quello che è stato e permane, a brandelli tra anni, cugini, dischi a quarantacinque giri, alluvioni, lucertole, madri, sceneggiati televisivi, fino alla prossima era glaciale.

Alice Munro, Poteri, 2004

Per un mucchio di uomini la vita era solo un elenco di dove e di quando. Ma ce n'erano altri, più al passo coi tempi, che sciorinavano questi discorsi solo apparentemente spontanei, il cui succo era che la vita è in effetti una strada piena di buche, ma che le sventure sanno indicare la via verso esperienze migliori, che la lezione s'impara, e che senza dubbio ogni giorno ha in sé una promessa di gioia.
Non la turbava che gli altri uomini parlassero in quel modo - di solito riusciva a distogliere il pensiero - ma quando lo fece Ollie, sporgendosi sul tavolino instabile e sul piatto di legno che ospitava i minacciosi tranci di pesce, la invase un senso di tristezza.

Augusto Romano, “Tuttolibri”, 9 giugno 2012

Ho l'impressione che l'ottimismo positivistico abbia giocato un brutto scherzo a Musatti, o almeno al Musatti scrittore: gli ha sottratto la dimensione del tragico e lo ha condannato al lieto fine. I nostri pazienti sono oggi meno pittoreschi dei suoi e in genere presentano meno sintomi. Sempre meno la loro sofferenza è annidata in un punto specifico e perciò sempre meno è addomesticabile. Essa è pervasiva, ed è una malattia - come si diceva una volta - dell'anima, che si potrebbe chiamare assenza di significato. Perciò il problema si sposta: far scomparire i sintomi non significa guarire. Lo stesso concetto di guarigione si fa più equivoco, indefinito e fuorviante. Il compito è un altro: familiarizzarsi con l'insensatezza; non pretendere che essa sia altro da quello che è; lasciarla parlare; contemplare le immagini attraverso cui essa si esprime; a nostra vostra parlarle, per quel che l'Io può.

Gertrude Stein, Autobiografia di tutti, 1937

Sono sempre più certa che la sola differenza tra gli uomini e gli animali è che gli uomini sanno contare e gli animali no e quando contano per lo più contano denaro, e una delle cose che davvero mi piaceva in Napoleone è che stabiliva sempre la spesa quotidiana di tutti i personaggi delle storie che stava leggendo.

Heinrich Mann, L'odio, 1933

Una cricca di individui avidi e malvagi si è riunita per distruggere una democrazia ancora in fase di sviluppo. Ha preferito domare il Paese per mezzo dell’odio, il sentimento che gli era più congeniale. Si trattava infatti di un gruppo di falliti. È una cosa che va tenuta in considerazione. Nessuno di loro aveva mai svolto un lavoro utile in tutta la sua esistenza. Nessuno aveva la benché minima possibilità di realizzare un qualche cosa, se non gli fosse stato concesso di distruggere e odiare. Non avevano talenti né successi da vantare, erano destinati a sprofondare nel fango. La loro miserevole esistenza lambiva già il baratro. Ma proprio il desiderio di vendetta personale e l’invidia velenosa sono la fonte della loro forza. E con questa forza tanto meschina sono riusciti a ridurre un’intera nazione in uno stato che suscita il disgusto generale.

Toni Morrison, Beloved, 1987

«Un giorno ti ritroverai che cammini per strada e sentirai o vedrai che sta succedendo qualcosa. Un'immagine chiarissima. E tu pensi che sei tu che lo pensi. Un'immagine del tuo pensiero. E invece no. Questo succede quando s'incappa nel ricordo che appartiene a qualcun altro. Lì, dove stavo prima di venire qua, quel posto esiste nella realtà. Non andrà mai via. Anche se sparisce tutta quanta la fattoria - fino all'ultimo albero e all'ultimo filo d'erba. L'immagine è sempre lì e, cosa più importante di tutte - se lì ci vai tu, tu che non ci sei mai stata - se vai lì e ti metti nel posto dov'era prima, succederà di nuovo. È lì per te, che ti aspetta. Perciò, Denver, non andarci mai. Mai. Perché, anche se è tutto finito, morto e sepolto, è sempre lì che ti aspetta. Ecco perché mi son dovuta portar via di lì i miei figli. A tutti i costi.» Denver si rosicchiava le unghie. «Se è ancora lì che aspetta, questo vuol dire che non muore mai niente.» Sethe guardò Denver dritta negli occhi. «No, non muore mai niente», le rispose.

Javier Marías, Berta Isla, 2017

Anche Berta, come Tomás, sembrava sapere, fin dall'inizio, a che tipo di persona apparteneva, a che tipo di ragazza e donna futura, come se mai avesse dubitato che il suo era un ruolo da protagonista, non secondario, almeno nella propria vita. Ci sono persone, invece, che si vedono già come comparse, perfino nella propria storia, come se fossero nate con la consapevolezza che, per unica che sia ciascuna vita, la loro non meriterà di essere narrata, o vi si farà cenno solamente quando si narrerà quella di un altro, più avventurosa e degna di nota. Nemmeno come intrattenimento in un lungo dopopranzo o in una serata accanto al fuoco senza sonno.

Ugo Cornia, Il mio amico Bill Clinton, 2025

Aspetta, Bill, che vado in cucina a farmi un caffè, ovviamente soltanto per me perché lui era troppo piccolo per bere il caffè, e quindi mi alzavo per andare in cucina e andavo su e giù tra la sala e la cucina, che erano due stanze praticamente di fronte, per cinque minuti che ci voleva a fare il caffè, e l'avevo visto che quando io andavo in cucina Bill si alzava e scuriosava tutto quello che c'era appoggiato sui mobili della sala, e quindi io mi alzavo e andavo a preparare la caffettiera e accendevo il gas e Bill si alzava e scuriosava, io tornavo due minuti sulla poltrona e anche Bill si rimetteva a sedere in poltrona e finivamo il pezzo di chiacchiera precedente, io mi rialzavo e tornavo in cucina che avevo sentito che il caffè stava venendo su e Bill si rialzava a scuriosare, io avevo tolto dal gas il caffè e l'avevo messo nella tazza e tornavo con la mia tazza di caffè a sedermi in poltrona e Bill mollava i suoi scuriosamenti e tornava a sedersi in poltrona, e questo mi dava l'idea della velocità e della quantità degli eventi mentali della testa di Bill in particolare, ma anche della testa più o meno di tutti quelli che hanno la sua età, che hanno questa miriade di pensieri piccolissimi uno dietro l'altro, quindi se io mi alzavo a preparare la caffettiera e ci mettevo ventotto secondi, quelli che nella mia testa erano ventotto secondi, cioè il tempo che ci vuole per mettere il caffè nella caffettiera, metterci l'acqua e riavvitarla, e io ho detto ventotto secondi nella mia testa ma non erano nella mia testa, quanto piuttosto fuori dalla testa nel sistema mani-caffettiera-rubinetto-polvere di caffè-gas, quei ventotto secondi, a stare fermo in poltrona a non fare niente, nella testa di Bill diventavano mille milioni di minuti, una vera immensità inaffrontabile, per cui doveva alzarsi a scuriosare in modo che succedesse qualcos'altro nella sua testa, che poi con quelli più piccoli, alla fine, a guardarli rivedi e ripassi le tue fasi precedenti e ti fai la tua ricapitolazione privata di ogni stadio della tua vita.

Virginia Woolf, Il valore della risata, 1905

In passato si pensava che la commedia rappresentasse i difetti della natura umana e la tragedia ritraesse gli uomini più grandi di quanto siano. Per dipingerli come veramente sono, si deve, a quanto pare, trovare una via di mezzo tra le due, e il risultato è o qualcosa di troppo serio per essere comico, o di troppo imperfetto per essere tragico, e questo possiamo chiamarlo umorismo.

W.G. Sebald, Austerlitz, 2001

A differenza di Elias, il quale stabiliva sempre un collegamento tra malattia e morte da una parte e prova, giusta punizione e colpa dall'altra, Evan raccontava di morti che, colpiti anzitempo dal destino, sapevano di essere stati defraudati di ciò che spettava loro e cercavano quindi di ritornare in vita. Chi aveva occhio per queste cose, non di rado riusciva a vederli. A tutta prima sembravano persone normali, ma se li si fissava con particolare attenzione, i loro volti sparivano o tremolavano un poco ai bordi. Inoltre, erano quasi sempre di una spanna più piccoli di quanto non fossero da vivi, perché l'esperienza della morte, sosteneva Evan, ci rimpicciolisce, esattamente come una stoffa nuova, quando la si lava per la prima volta, si restringe.

David Wallace-Wells, “New York Magazine”, settembre 2017

Molti degli scienziati con cui ho parlato pensano che il riscaldamento globale sia la soluzione al famoso paradosso di Fermi: se l’universo è così grande, perché non abbiamo mai incontrato nessun’altra forma di vita intelligente? La risposta, secondo loro, è che l’arco di vita naturale di una civiltà potrebbe essere qualche migliaio di anni, e quello di una civiltà industriale forse solo qualche centinaio. In un universo che ha miliardi di anni, con sistemi solari così lontani tra loro nello spazio e nel tempo, forse le civiltà nascono, si sviluppano e si soffocano da sole troppo rapidamente per potersi incontrare. Peter Ward, uno dei paleontologi che hanno scoperto che le estinzioni di massa sono state provocate dai gas serra, lo chiama il “grande filtro”: «Le civiltà nascono, ma c’è un filtro ambientale che le fa estinguere e scomparire molto rapidamente», mi ha detto. «Se pensiamo alla Terra, il filtro in passato sono state le estinzioni di massa». Quella che stiamo vivendo oggi è appena cominciata, e molte cose dovranno ancora morire.

Mircea Cărtărescu, Solenoide, 2015

E all'improvviso, là, nella sala professori vuota, concreta, con il suo grande tavolo coperto con un telo rosso, con il suo armadio per i registri, con i suoi ritratti sporcati dalle mosche, mi ha colto un terrore che nemmeno nei miei sogni più spaventosi ho mai provato; non di morte, né di sofferenza, né di orribili malattie, né dello spegnimento dei soli; il terrore al pensiero che non capirò, che la mia vita non è stata sufficientemente lunga e la mia mente sufficientemente abile per capire. Che mi sono stati dati tutti gli indizi e non ho saputo leggerli. Che marcirò anch'io per niente, nei miei peccati e nella mia stupidaggine e nella mia ignoranza, mentre il fitto, intricato, pressante enigma del mondo perdurerà, limpido, naturale come il respiro, semplice come l'amore e che sfocerà nel nulla, immacolato e insoluto.

Charles Chaplin, La mia autobiografia, 1964

Sarah Bernhardt recitava al teatro di varietà Orpheum. Era, naturalmente, molto vecchia e alla fine della carriera, e non posso dare un giudizio equilibrato della sua recitazione. Ma quando la Duse venne a Los Angeles nemmeno l'età e la fine incombente poterono oscurare il fulgore del suo genio. L'accompagnava un'eccellente compagnia italiana. Prima della sua entrata in scena un giovane e bell'attore fornì una prestazione superba, tenendo magnificamente il palcoscenico. Come avrebbe fatto la Duse a superare la straordinaria prestazione di questo giovanotto?
Poi, dal fondo del palcoscenico, all'estrema sinistra, la Duse entrò in scena sbucando da un archivolto, piano piano, quasi senza farsi notare. Si fermò dietro un cestello di crisantemi bianchi che troneggiava su un pianoforte a coda e, silenziosamente, cominciò a rimetterli a posto. Un mormorio percorse la platea, e la mia attenzione lasciò immediatamente il giovane attore per concentrarsi sulla Duse. Ella non guardò né il collega né alcuno degli altri personaggi, ma continuò silenziosamente a disporre i fiori nel cestello e ad aggiungerne altri che aveva portato con sé. Quand'ebbe finito attraversò diagonalmente il palcoscenico, sedette in una poltrona accanto al caminetto e guardò il fuoco. Solo una volta fissò il giovanotto, e quell'occhiata racchiudeva tutta la saggezza e il dolore della umanità. Poi continuò ad ascoltare e a scaldarsi le mani: quelle mani così belle, così sensibili.
Dopo il veemente discorso di lui, ella parlò pacatamente guardando il fuoco. Non c'era traccia d'istrionismo; la sua voce veniva dalle ceneri di una tragica passione. Non compresi una parola, ma mi resi conto di essere alla presenza della più grande attrice che avessi mai visto.

Clarice Lispector, La passione secondo G.H., 1964

No, neppure la domanda io avevo saputo fare. Tuttavia la risposta mi si era imposta fin dalla nascita. Era stato a causa della risposta continua che io, in percorso inverso, ero stata costretta a cercare a quale domanda la risposta corrispondeva. Mi ero allora perduta in un labirinto di domande, e facevo domande a casaccio sperando che almeno una per combinazione corrispondesse a quella della risposta, e che io a quel punto potessi capire la verità.
Ma io ero come una persona che, essendo nata cieca e non avendo accanto a sé nessuno in possesso della vista, una persona che non avesse avuto la possibilità di fare domande a proposito della vista: non avrebbe perciò saputo dell'esistenza del vedere. Ma, dato che la vista esisteva effettivamente, sebbene quella persona di per sé non lo sapesse e non ne avesse mai sentito parlare, quella persona se ne sarebbe rimasta lì ferma, inquieta, vigile senza poter domandare su ciò di cui non sapeva l'esistenza - lei avrebbe sentito la mancanza di ciò che avrebbe dovuto essere suo.

Cristina Battocletti, Epigenetica, 2023

Raramente mi piacciono i maschi, visto che vincono sempre, la prosopopea del saper fare e saper dire. Una noia preventiva, l'incognita di essere appollaiata in un gioco di seduzione. Mi piace invece guardare con ammirazione le femmine, belle e brutte, i loro stomaci contratti per sembrare più magre, il velo di rughe che copre loro gli occhi prestissimo a forza di dovere fare sempre i conti con l'inferiorità di protocollo o con i mezzucci sempiterni del bamboleggiare, dell'istupidirsi, dell'avvilirsi per essere accettate.

Edoardo Albinati, Velo pietoso, 2024

Scrivere sulla malefica ossessione identitaria che affligge individui, società e nazioni. Una volta per tutte: al diavolo l'identità! che può essere al massimo una finzione giuridica.
Non ascoltare neanche per un istante l'insensato e borioso slogan: “Sii te stesso”.

Franz Kafka, Otto quaderni in ottavo, 1917-1918

L’uomo non può vivere senza una perenne fiducia in qualcosa d’indistruttibile in sé, la qual cosa non esclude che, sia tale fiducia, sia quell’elemento indistruttibile, gli possano restare perennemente nascosti. Uno dei modi coi quali può esprimersi questo nascondimento è la fede in un Dio personale.

Louis Napoléon Geoffroy-Chateau, Napoléon et la conquête du monde. 1812-1832, 1836

È una delle leggi fatali dell'umanità che niente raggiunga mai il proprio scopo. Tutto rimane incompiuto e manchevole, gli uomini, le cose, la gloria, la fortuna e la vita.
Legge terribile, che uccide Alessandro, Raffaello, Pascal, Mozart e Byron prima dei trentanove anni! Legge terribile che arresta la parabola di ogni popolo, di ogni sogno, di ogni esigenza prima che sia giunta al culmine! In quanti hanno sospirato per le loro speranze infrante, supplicando il Cielo di esaudirle!
E se Napoleone Bonaparte, schiacciato da questa legge fatale, fosse stato malauguratamente sconfitto a Mosca, rovesciato a meno di quarantacinque anni, per andare a morire su di un'isola-prigione, in mezzo all'oceano, non sarebbe questa una cosa da far venire le lacrime agli occhi a chiunque si trovasse a leggere una storia del genere?

Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia, 2009

Il primo è un modo di pensare razionale, il secondo magico. Possiamo sostenere che diventare adulti, cosa che la psicoanalisi dovrebbe aiutare a fare, significhi abbandonare il pensiero magico per quello razionale, ma possiamo anche sostenere che non si debba abbandonare niente, che ciò che è vero su un determinato piano mentale non lo sia su un altro, e che si debbano abitare tutti i piani, dalla cantina alla soffitta.

Matteo Marchesini, Teoria come critica: Franco Brioschi, “Snaporaz”, 11 marzo 2025

Dopotutto, esemplifica ottimamente Brioschi, quando diciamo che “la betulla è la fanciulla dei boschi” conosciamo bene i motivi per cui questa metafora funziona, e per cui ci sembra invece sbagliata una frase come “la betulla è la matrona dei boschi”. Il fatto è che la nostra interpretazione non è mai meccanica e passiva: integra momento per momento la decifrazione con l’immaginazione e con le conoscenze in apparenza più remote, e lo fa nella scienza e nella vita non meno che nell’arte.

Pier Paolo Pasolini, Petrolio, 1975

Dopo un po' (per quanto belle le relazioni col cosmo sono di breve durata: sono poco utili, fanno perdere altre cose, il tempo, il sonno ecc., così ragionevolmente necessarie. La sincerità del rapporto col cosmo si esaurisce presto: tende a trasformarsi subito in un atto di omaggio, in un doveroso raccoglimento, da cui l'uomo cerca di liberarsi, reprimendo ipocritamente la propria impazienza, come un bambino dalle lezioni di religione), Carlo riprese il cammino, rifù a casa, si spogliò, si infilò nel letto.

Inès Cagnati, Genie la matta, 1976

C'è stato quel giovedì in cui siamo andate a vendemmiare da Antoine. Sul momento non ho fatto caso a quel giorno più che agli altri, perché mai niente ti avverte che stai vivendo un giorno particolare, un inizio e una fine, nemmeno se è l'inizio di qualcosa di bello, perché certe cose sembrano normali o belle e poi dopo ti accorgi che diventano tremende.

Aldo Busi, Suicidi dovuti, 1996

Si è liberi veramente quando ci si può suicidare senza arrecare danno o dolore o rimpianto a nessuno: la libertà è la forma intermedia della solitudine, il suicidio la forma estrema dell'unica compagnia che ti è rimasta.

Irmgard Keun, Dopo mezzanotte, 1937

Lui non le vede neppure. Oltre a Heini, c’è un altro uomo che non si accorge minimamente di queste metamorfosi, e quest’uomo è Algin. Dopo aver conosciuto Liska – come solo un uomo che ci ha vissuto per anni e che per anni ci ha dormito insieme può conoscere una donna –, Algin ha smesso di conoscerla. Succede come quando leggi una poesia meravigliosa e la impari a memoria, un po’ per entusiasmo e un po’ per volerla recitare ad alta voce. E poi, quando l’hai imparata a memoria, allora puoi cominciare lentamente a dimenticarla di nuovo. Di solito va così.

Ottessa Moshfegh, McGlue, 2014

Non credo nel diavolo, sia ben chiaro. Penso che il diavolo sia solo una storia per spaventare i bambini in modo che si comportino bene. E penso che dovremmo avere più rispetto l'uno dell'altro piuttosto che usare la paura per arrivarci. Le persone sbagliano, certo, è umano. Solo Dio è perfetto, il resto è una merda, scusa il linguaggio. E allora di chi è la colpa? Per quello sono dalla parte della difesa, mi viene naturale. Non tutti meritano di essere condannati.

Giovanni Mariotti, Il Faraone Anguilla, 2024

La maggior parte degli uomini di potere sono dei tossici. Amasi no: ha avuto cura di mantenere la spontaneità, sia la sua sia quella del popolo.
Quarantaquattro anni è durato il suo regno; una lunga sospensione prima che l'Egitto andasse in rovina.
Nessuno si è accorto che si è trattato di uno dei periodi più belli, nella storia dell'Egitto.
I sacerdoti si lamentavano perché l'antica fede s'illanguidiva, gli artisti perché l'arte decadeva, i generali perché lo spirito guerriero sembrava morto, i nobili perché non c'era più nobiltà, i mercanti e i contadini perché le tasse erano troppo alte.
Ma fra un lamento e l'altro, fra alti e bassi, fra piccoli successi e piccoli fallimenti, la vita scorreva tranquilla nelle ventimila città.

Georges Didi-Huberman, Devant le temps, 2000

Di fronte a un’immagine, per quanto antica possa essere, il presente non smette mai di riconfigurarsi […]. Di fronte a un’immagine, per quanto recente, contemporanea possa essere, il passato al tempo stesso non smette mai di riconfigurarsi, perché quell’immagine diventa possibile solo in una costruzione della memoria, se non dell’ossessione. Di fronte a un’immagine, infine, dobbiamo riconoscere con umiltà che essa probabilmente ci sopravvivrà, che siamo noi l’elemento fragile, passeggero, e che è l’immagine l’elemento futuro, l’elemento della durata. L’immagine ha spesso più memoria e più avvenire di chi la guarda.

Thomas Bernhard, Ja, 1978

Ora, dopo questa spiegazione, posso parlare della compagna dello svizzero, cioè della persiana, e fare almeno il tentativo di fissarne il ricordo, anche se questo può avvenire solo in modo frammentario e lacunoso e come tutto ciò che si scrive nemmeno lontanamente in maniera esauriente e completa, dopo che negli ultimi tempi ho cercato tante volte di cominciare senza mai riuscirci. Ma tutto ciò che deve essere scritto deve sempre essere ripreso da capo e sempre ritentato, finché almeno una volta riesce approssimativamente, anche se mai in maniera soddisfacente. E fosse pure inutile, fosse pure terribile, fosse pure senza speranza, tuttavia si dovrebbe sempre provare quando abbiamo un oggetto che ci tormenta di continuo con il massimo accanimento e non ci lascia in pace. Pur essendo coscienti che assolutamente nulla è certo e assolutamente nulla è completo, dobbiamo, anche nella massima insicurezza, e coi più fondati dubbi, cominciare e portare avanti ciò che ci siamo proposti.

Gerard Basil Edwards, Il libro di Ebenezer Le Page, 1981

Le ho detto che doveva farsi visitare da un medico. «Il dottore non serve a niente» ha risposto. «Forse può servire a qualcosa» ho detto. «È la volontà di Dio» ha detto. Quando mia madre diceva «È la volontà di Dio», sapevo che discutere era tempo perso. Spesso mi sono interrogato sulla religione di mia madre: com’era diversa da quella di Tabitha! Tabitha frequentava la Church con i Priaulx e qualche volta accompagnava mia madre alla funzione; non sono così sicuro che appartenesse a una religione precisa. Aveva fede, non so in cosa o come. Nella vita ha sofferto, eppure non credo che sia mai stata davvero infelice. Era come se sapesse che ogni cosa, in fondo, è una cosa buona. Vorrei pensarla anch’io così.

Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950

Così questo paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l'ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto.

Milan Kundera, L'immortalità, 1990

Riaffiorò il ricordo del padre. Dal momento in cui l'aveva visto indietreggiare davanti a due ragazzi di dodici anni, lo aveva immaginato spesso in questa situazione: è su una nave che affonda; le scialuppe di salvataggio sono poche e non ci sono posti per tutti; perciò in coperta c'è una ressa furibonda. Il padre in un primo momento fugge con gli altri verso la murata, ma quando vede che tutti si urtano, pronti a calpestarsi, e quando infine una signora furiosa lo colpisce con un pugno perché lui le impedisce di passare, improvvisamente si ferma e poi si mette in disparte. E alla fine resta a guardare, mentre le scialuppe stracolme di gente che urla e bestemmia calano lentamente fra le onde burrascose.
Che nome dare all'atteggiamento del padre? Vigliaccheria? No. I vigliacchi temono per la loro vita e quindi per la vita sanno anche battersi furiosamente. Nobiltà? Di questa si sarebbe potuto parlare se avesse agito così per riguardo verso il prossimo. Ma Agnes non credeva in questa motivazione. Di che si trattava dunque? Non sapeva rispondere. Di una cosa sola era sempre stata sicura: su una nave che affonda e dove è necessario battersi con altra gente per poter salire sulle scialuppe di salvataggio, il padre sarebbe stato condannato a morte in partenza.
Sì, questo era certo. La domanda che ora si poneva era la seguente: suo padre provava odio per la gente sulla nave, così come lei lo aveva provato per la motociclista o per l'uomo che l'aveva derisa perché si copriva le orecchie? No, Agnes non riesce a immaginarsi suo padre capace di odiare. L'inganno dell'odio sta in questo, che ci lega al nostro avversario in uno stretto abbraccio. Qui sta l'oscenità della guerra: l'intimità del sangue reciprocamente mescolato, la lasciva vicinanza di due soldati che si trafiggono guardandosi negli occhi. Agnes era certa che proprio quell'intimità faceva ribrezzo al padre. La ressa sulla nave gli ripugnava a tal punto che preferiva annegare. Trovarsi a contatto fisico con uomini che cercano di spingersi via l'uno con l'altro e di mandarsi a morte a vicenda gli sembrava molto peggio che finire la vita da solo nella limpida purezza delle acque.

Ludwig Wittgenstein, Sull'etica, 1929

Sappiamo tutti cosa si direbbe un miracolo nella vita normale. È ovviamente solo un evento di cui non abbiamo ancora mai visto l’uguale. Supponiamo ora che un evento simile si verifichi. Supponiamo che a uno di voi cresca improvvisamente una testa di leone e cominci a ruggire. Sarebbe certamente una cosa straordinaria davvero. Ora, una volta rimessici dalla sorpresa, la prima cosa che suggerirei sarebbe di chiamare un dottore e di fargli esaminare il caso in modo scientifico, e, se non fosse per non fargli male, vorrei che fosse vivisezionato. Ma dove se ne sarebbe andato il miracolo? È chiaro infatti che se osserviamo le cose in questo modo, tutto quello che c’è di miracoloso sparisce, a meno che intendiamo per «miracoloso» solo ciò che la scienza non ha ancora spiegato, il che vuol dire, di nuovo, che non siamo finora riusciti a raggruppare questo fatto insieme con altri in un sistema scientifico. Questo mostra come sia assurdo dire che «la scienza ha provato che non ci sono miracoli». La verità è che il modo scientifico di guardare un fatto non è il modo di guardarlo come un miracolo.

Niles Eldredge, conferenza Modena, 19 settembre 2010

Su una più vasta scala, i grandi disastri ambientali scatenano eventi di estinzione di massa: fino a oggi ne conosciamo cinque nel corso di altrettanti miliardi di anni di storia della vita. L’estinzione di massa del Permiano-Triassico, circa 245 milioni di anni fa, potrebbe aver eliminato nientemeno che il 96 per cento delle specie allora al mondo; e considerare come tutta la varietà delle forme di vita oggi presenti sulla Terra discenda probabilmente da non più che il 4 per cento della varietà genetica sopravvissuta a quest’estinzione di massa sottolinea quale ruolo giochi il caso sulla vasta scala. Facciamo un esempio: se i dinosauri non fossero spariti con l’estinzione di massa del tardo Cretaceo, circa 65 milioni di anni fa, i mammiferi non si sarebbero evoluti nella gran varietà in cui li conosciamo, e noi stessi non saremmo qui a parlarne!

Heinrich Böll, Assedio preventivo, 1979

«Ebbene, non sembra proprio che sia così terribilmente fedele».
«Certo che lo è - anche Veronica è fedele. Questo è la cosa terribile in loro, questo le mette tutte in questa situazione disperata. Non possono lasciare, non possono desistere. E se Sabine fosse soltanto stata infedele a Fischer non soffrirebbe così - lo considererebbe un passo falso, si confesserebbe - e via. In fondo è anche fedele a se stessa... non può uscire dalla propria pelle e adesso è fedele all’altro. È il tipo che si lascia spezzare il cuore per fedeltà - se soltanto sapessi chi è - lei dice che vuole lavorare, vivere in qualche posto nell'anonimato, e lavorare...»

Vitaliano Trevisan, I quindicimila passi, 2002

Chissà, forse un giorno si scuseranno anche per questo e, quando sarà passato abbastanza tempo, arriverà un Papa che chiederà scusa e tutto sarà a posto. La Chiesa risponde solo a se stessa, pensavo, e il tempo della Chiesa è un tempo diverso, un tempo senza tempo, un tempo che si riferisce all'eternità, il tempo di chi gestisce l'eternità, e facendo riferimento all'eternità, allora ha senso anche chiedere perdono ora per qualcosa commesso centinaia di anni fa, perché cento, duecento, cinquecento anni fa sono un attimo fa e il presente è sempre un presente assolutamente relativo, ininfluente, dunque lasciare che le cose, le case, i palazzi eccetera vadano in malora, è in realtà un opportuno aspettare, un saggio attendere. Quando non importa, ma il tempo giusto verrà, il rizoma produrrà il suo germoglio e tutto acquisterà un senso, anche ciò che ora, adesso, non ha senso. Inutile l'insinuarsi nelle nostre teste della domanda: ma perché proprio adesso questo adesso?, perché proprio ora? Inutile porre la questione di una qualche responsabilità, al presente come al passato: si tratterebbe, comunque e sempre, di una questione riguardante una responsabilità contingente, posta a una istituzione che si fonda su un assoluto che contingente non può mai essere, essendo sempre, in ogni caso e momento, assoluto. Vada dunque tutto in malora.

Patricia Highsmith, Quando a Mobile sbarcò la flotta, 1970

Si sentiva talmente felice da aver voglia di piangere. Perché era così bello? si domandò, con la musica nelle orecchie e le mani strette intorno alla pertica di metallo, e quel piccolo volare e quel piccolo sprofondare e tutto così bello... La gola le si strinse, ed ella aprì gli occhi, vedendo una macchia di alberi neri e puntini luminosi che balenavano e alcune figure all'impiedi ai bordi della giostra, sorridenti. Dov'erano i suoi genitori? Voleva fargli ciao. Poi le sue spalle si strinsero come se fosse stata colpita, e le lacrime sgorgarono agili dai suoi occhi, poiché si rese conto che era solo essere piccoli, con i genitori che le facevano ciao con la mano e le gridavano di reggersi forte, era solo essere a cavalcioni di quel cavallo e con l'abituccio corto e finire a letto nel giro di un'ora, ed essere troppo piccina per raggiungere con le dita dei piedi il fondo del letto, e l'indomani alzarsi e mettersi sui sedili posteriori della macchina e chiedere al padre “Dove pensi che dormiremo stanotte, papà?”, era semplicemente questo che era meraviglioso, e adesso era tutto, tutto finito per sempre.

Olga Tokarczuk, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, 2009

A volte mi capitava di entrare in chiesa e di stare seduta in pace con le persone. Mi è sempre piaciuto il fatto che le persone stanno insieme e non sono obbligate a parlarsi. Se potessero chiacchierare, comincerebbero subito a raccontarsi scemenze, pettegolezzi, comincerebbero a inventare e a darsi un tono. Così invece se ne stanno sedute nelle file, ciascuna immersa nei propri pensieri, rivedono nella mente le cose appena accadute, e immaginano che cosa accadrà ancora di lì a poco. In questa maniera controllano la propria vita. Come tutti, mi sedevo su una panca e piombavo in una sorta di dormiveglia. Pensavo pigramente, come se i pensieri mi arrivassero dal di fuori, dalle teste delle altre persone, o forse dalle teste di legno degli angeli posti lì vicino. Mi veniva sempre in mente qualcosa di nuovo, di diverso da come mi sarebbe venuto a casa. In questo senso la chiesa è un buon posto.

Richard Yates, Revolutionary Road, 1961

Non credo di essermi mai sentita più annoiata e depressa e stufa in vita mia dell’altra sera. Ci mancava solo tutta quella storia sul figlio di Helen Givings, e hai visto come ci abbiamo tutti sguazzato dentro come porci; ricordo che ti guardavo e pensavo: “Dio, se solo la piantasse di blaterare”. Perché tutto quello che dicevi era basato su quella che è la nostra premessa fondamentale, che noi siamo qualcosa di diverso e superiore, e io avevo una gran voglia di dire: “Ma non lo siamo! Ma guardaci! Siamo tali e quali la gente di cui stai parlando! Siamo la gente di cui stai parlando!”.

Enzo Fileno Carabba, Vite sognate del Vasari, 2021

Alcuni dicono che fu arrogante, ma più che altro tendeva a essere insoddisfatto. se qualcosa non gli tornava nell'opera che stava dipingendo, magari per una critica ricevuta da qualcuno, o da una parte maligna di se stesso, la abbandonava. In certi casi la buttava in Arno. Come abbia fatto Cimabue nato in un secolo così grossolano a salire tanto in alto non lo sa nessuno, anche se a volte i secoli sono meno grossolani di quello che sembra. Giotto e Gaddo Gaddi erano i più abili a ripescare le opere di Cimabue dal fiume. A volte la gente li vedeva in acqua, pensava cercassero pesci invece cercavano di recuperare un quadro del maestro prima che si sciogliesse per sempre.

Cormac McCarthy, Stella Maris, 2022

Nemmeno io. Mi sta chiedendo se l'abbiamo fatto?
L'avete fatto?
No.
Cos'altro?
Sull'argomento?
Sì.
Molto probabilmente l'amore è di per sé un disturbo mentale.
È una battuta?
No.
Crede sia così?
Probabile. Forse no. A volte. La letteratura non è molto incoraggiante. L'esperienza nemmeno.

Uwe Johnson, Congetture su Jakob, 1959

Non riesco a immaginarlo: ripeté in silenzio Jakob, tra sé e sé, divertito come se avesse pensato tra sé e sé: la “Libertà” è più che altro il concetto di qualche cosa che manca, in questo senso: che non c'è. Uno, quando viene al mondo, quando parla di se stesso dice Io, e questo per lui è ciò che conta di più, ma si ritrova anche insieme con molti altri che sono venuti al mondo prima di lui, deve fare i conti con loro, per quanta importanza si dia; e nessuno è tanto libero da riuscire a eliminare le leggi della fisica per la sua persona. In quanto essere vivente, in quanto sono un essere sociale e naturale (io sono un...), tutto è ampiamente prestabilito. E questa è certo una concezione del mondo dal punto di vista Io, «ma questo Io non è inteso come libertà, fintanto che si pensa che l'uomo (i nostri uomini, le masse), come la guida dello stato, è determinabile secondo una schema elementare di causalità», e quindi avrebbe potuto parlare anche della situazione dell'economia agricola.

Neige Sinno, Triste tigre, 2023

A una domanda che tentava di individuare le ragioni per cui i soldati commettono le peggiori angherie nei luoghi dei conflitti, una volta mi è capitato di sentire un grande storico esperto delle due guerre mondiali rispondere: perché possono farlo. È una risposta che potrebbe sembrare banale, ma lui la diceva con profonda malinconia, risultato di una vita passata a indagare la guerra, il male, la violenza. Stuprano perché possono farlo, perché la società gli dà quella possibilità, perché qualcuno li ha autorizzati, e quando un uomo ha il permesso di stuprare, stupra.

Agnes Heller, Biopolitica e libertà, 2003

Che cosa è dunque naturale? Lo sono le epidemie o le carestie? Più precisamente si può domandare: essere naturale significa trovarsi in uno stato o possedere un funzionamento indipendenti dalla volontà o dalle azioni umane? Così precisata la domanda, quasi nulla può dirsi naturale eccetto la giungla e forse il deserto vergine. Ma si può anche definire naturale ogni relazione tra cause ed effetti che si sviluppano nella natura organica e inorganica (anche se questa è di per sé una tautologia). Se è così, tutto quanto può dirsi naturale: persino la clonazione, i reattori nucleari e le epidemie, così come l'arrestarsi del contagio in seguito a vaccinazioni o ad altri interventi. Se le cose stanno così, la domanda riguardante ciò che è naturale e ciò che non lo è risulta semplicemente priva di senso: o meglio, è questione di scelta.

David Markson, L'amante di Wittgenstein, 1988

Una volta qualcuno chiese a Robert Schumann di spiegare il significato di un certo brano musicale che aveva appena eseguito al pianoforte.
Ciò che Robert Schumann fece fu risedersi al piano e suonare il brano da capo.

Daniela Ranieri, Stradario aggiornato di tutti i miei baci, 2021

E l'anima? L'anima resta fuori da questo scambio, da questo travaso? L'anima ce la teniamo stretta: i corpi combaciano, tutt'al più si penetrano, ma le anime restano sigillate, e così ce ne andiamo dal mondo: come barattoli che non si sono mai aperti. L'anima è nei baci, in certi baci: si travasa coi baci...

Giulio Mozzi, Sono l’ultimo a scendere..., 30 marzo 2005

Io prendo il fiato e dico: «Non è vero che il fine giustifichi i mezzi. Più precisamente: non solo non è vero che qualunque fine giustifica qualunque mezzo, ma è vero invece che nessun fine giustifica qualunque mezzo. Ciò detto, sarebbe l’ora di finirla non solo con questa machiavellica storia del fine che giustifica, cioè rende giusti i mezzi, ma anche con un’altra storia, che con questa ha una parentela stretta, benché segreta. E cioè che vi siano fini che sono giusti in sé, indipendentemente dai mezzi. Ahimè no: non solo non è il fine che da solo decide della giustezza dei mezzi, ma sono anche i mezzi che decidono, in quanto mezzi (per esempio nella loro disponibilità o indisponibilità), della giustezza del fine. Il che non significa affatto, e qui concludo, che purché siano giusti i mezzi, ogni fine con essi conseguito è giusto. È chiaro?».

Guido Morselli, Dissipatio H.G., 1973

La fine del mondo?
Uno degli scherzi dell'antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell'uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. Il vecchio Montaigne, sedicente agnostico, si schierava coi dogmatici, coi teologi: «Ainsi fera la mort des autres choses notre mort».
Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è mai stato così pulito, luccicante, allegro.

Georges Simenon, Il dottor Bergeron, 1937

Aveva davvero accettato il suo destino una volta per tutte? E se la sua leggerezza fosse derivata proprio dal fatto di non averci creduto fino in fondo? Lui era là, a casa sua, o nella sua strada, nella sua parrocchia, dai suoi pazienti, come dal vecchio Hautois o dai Portal, e aveva l'impressione che loro fossero lì realmente, definitivamente, ma che lui fosse solo di passaggio, che non ci credesse, che fosse una cosa provvisoria, non più reale delle immagini che lui stesso creava con il gioco della tapparella.

Ilaria Gaspari, La reputazione, 2024

Mi vergognavo anche, e non a torto, dei cliché in cui incappava la mia fantasticheria; ma che ci potevo fare, era un sogno d'infanzia. Intanto facevo quel che potevo, o che credevo di poter fare. Osservavo, fantasticavo. Mi pareva che il ruolo di scrittrice finalmente avrebbe offerto una giustificazione all'accidia, alla mia scarsa attitudine all'attività, alla lentezza con cui mi trascinavo nella vita, perdendo la metà del mio tempo a cercare di capire che fare dell'altra metà.

Jim Baggott, Origini, 2015

Grazie all'uso del linguaggio e all'impegno dei circuiti neurali implicati nel cervello sociale, i primi esseri umani moderni sono in grado di costruire comunità più ampie. Adesso il limite delle loro dimensioni è determinato solo dalle capacità neurali dei membri. Sulla base di estrapolazioni a partire da relazioni tra le dimensioni dei gruppi sociali e il rapporto tra lobi frontali e dimensioni del cervello sottocorticale nelle antropomorfe, Dunbar stima che in natura le dimensioni massime del gruppo, per gli esseri umani moderni, sia di circa 150 individui. Questo è a volte indicato come “numero di Dunbar”.
Noi oggi naturalmente viviamo in comunità molto più numerose, addirittura in città con milioni di abitanti. Ma non è in questo senso che Dunbar usa il concetto di “comunità”: possiamo benissimo vivere e lavorare in mezzo a un gran numero di persone; ma quante ne conosciamo davvero (e quante ci stanno a cuore)? Quante persone consideriamo parte della nostra famiglia e della nostra cerchia di amicizie (compresi gli amici di Facebook)? E quante di queste sono mere conoscenze, con le quali non abbiamo alcuna autentica relazione? Nei loro studi, gli scienziati hanno spaziato su una gamma molto ampia di comunità diverse - antiche e moderne: continua a emergere il numero 150.

Alain-Fournier, Il grande Meaulnes, 1913

Inspiegabilmente, questa serata che volevo eludere mi pesa. Mentre le ore passano, mentre la giornata sta per finire e io vorrei fosse già finita, ci sono uomini che in essa hanno riposto ogni speranza, tutto il loro amore e le loro ultime forze. Ci sono uomini in punto di morte, altri per i quali incombe una scadenza e vorrebbero non fosse mai domani. Ce ne sono altri per i quali la giornata di domani sorgerà come un rimorso. Altri che sono stanchi, e questa notte non sarà mai abbastanza lunga per dare loro tutto il riposo di cui hanno bisogno. E io che ho sprecato la mia giornata, con che diritto oso invocare il domani?

Filippo Tuena, Memoriali sul caso Schumann, 2015

Ho dovuto raccontare questa storiella a Mackellar perché, da buon scozzese, ignora ogni mito che non sia ossianico. Ed è così romantica quella musica, invece, che ogni volta che l’ascolto penso a Leandro che attraversa di notte l’Ellesponto, guidato dal lume che l’amata Ero accende sulla sponda opposta, e mi viene da piangere. E ripenso agli amori di gioventù, a quel passo ardito che avevo quando andavo a un appuntamento, passo che ho perduto, non perché abbia perduto la capacità d’amare, ma perché me ne vergogno, come se quel sentimento fosse destinato solo alla gioventù.

Colette, Camera d'albergo, 1940

«Non si può rifare una circostanza fortuita, incontrandosi due volte per caso in una cittadina termale. Mi avete detto voi stessa che, in tutta la vostra vita, non avevate mai affittato uno chalet orrendo né ascoltato i consigli di una tal signorina d'Orgeville...»
Poteva continuare, la buona Antoinette. Era meglio che ignorasse che una conflagrazione di coincidenze costituisce una sorta d'impegno, che esiste anche un trantran dell'imprevisto. Una congiuntura ci sembra unica perché non siamo tanto perspicaci da scoprire che essa, vestita a nuovo, si accompagna a un vecchio caso identico...

Iris Murdoch, Under the Net, 1954

Provavo una specie di tristezza confusa. Mi si offriva un mucchio di denaro; e non capivo bene perché lo rifiutassi: ammesso che quel che stavo facendo fosse un rifiuto. Ma quel che era più importante, mi si offriva la chiave di quel mondo in cui il denaro scorre facilmente e in cui con la stessa fatica si possono ottenere risultati enormemente più brillanti: come scaricare il peso da una parte stanca del corpo a un’altra fresca di forze. Quanto alla mia coscienza, avrei potuto sistemarla in pochi mesi. Col tempo avrei potuto guadagnarmi il mio posto in quel mondo, come chiunque altro. Tutto quel che dovevo fare era chiudere gli occhi e avviarmi. Ma perché la strada che vi conduceva sembrava così dura? Ero angosciato. Mi pareva di gettar via la sostanza per l’ombra. Quel che preferivo era un vuoto, di cui non avrei potuto dare nessuna spiegazione comprensibile.

Antonia Pozzi, Pudore, 1° febbraio 1933

Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.

Paul Guimard, Un concours de circostances, 1990

Due passeggeri di uno stesso treno, seduti l’uno di fronte all’altro nello stesso scompartimento, non fanno lo stesso viaggio. L’uno interpreta il paesaggio sulla base degli elementi che gli vengono incontro; elementi che l’altro vedrà un attimo dopo, da un’altra prospettiva, sotto un’altra luce, dunque diversi; o che non vedrà affatto se tra lui, osservatore in movimento, e l’oggetto osservato si frapporrà un qualunque ostacolo, per esempio un cavalcavia. Dal canto suo, il passeggero seduto in direzione opposta al senso di marcia scopre un universo che gli occhi del suo dirimpettaio ignoreranno. Somiglia tanto alla mia vita coniugale. Da vent’anni io e Isabelle ci muoviamo insieme nello spazio e nel tempo l’uno di fronte all’altra, più che fianco a fianco. Dubito che vediamo lo stesso paesaggio.

Elizabeth Von Arnim, Un incantevole aprile, 1921

Cosa curiosa, sentiva il desiderio di pensare, e di ciò era stupita più di chiunque altro. Mai prima d’allora aveva provato quel desiderio. Tutto ciò che era possibile fare senza disturbarsi troppo lo aveva fatto, o pensato di farlo, nei diversi periodi della sua vita, ma mai aveva desiderato pensare. A San Salvatore era venuta con uno scopo: rimanere distesa al sole in una sorta di letargo per quattro settimane, in un luogo da cui fossero assenti genitori e amici, nella bambagia dell’oblio da cui sarebbe uscita solo per mangiare. Era lì soltanto da poche ore, ma questo nuovo e strano desiderio si era già impossessato di lei.

Alexander Schnell, “Reportagen”, luglio 2018

Al ritorno da un giro in taxi, un abitante di Raversdorf racconta di aver incontrato un rifugiato, cioè un rifugiato vero che interpreta un rifugiato anche in questo gioco di ruolo. Finora quello era l’unico lavoro che era riuscito a procurarsi in Germania. Sembra che il rifugiato gli abbia anche detto: “Quando ho attraversato il Mediterraneo su un barcone non mi sarei mai immaginato che il mio lavoro in Europa sarebbe stato interpretare un rifugiato”.

Silvio D'Arzo, Casa d'altri, 1952

Starlo a sentire era un po’ un divertimento per me. Beh, anche una cosa triste però. Un poco triste. Voi guardate il vestito di quell’ometto laggiù, impiegato al Comune o anche vedovo, e la prima cosa che vien da pensare è che un giorno è stato nuovo anche lui. E anche l’ometto, s’intende.

Julio Cortázar, Divertimento, 1949

Ci si stufa a vedere che le cose insensate possiedono basi più profonde delle verità scientifiche e che la riflessione finisce per allearsi con gli impulsi primitivi, consegnandoci al capriccio della poesia pura, al grande salto verso ciò che più ci appartiene: l’atto irrazionale.

Alessandro Broggi, Sì, 2024

Eppure a me sembra che il chiacchiericcio dei miei pensieri di questo momento non sia più rilevante di quello di ieri, dell'altro ieri o di settimana scorsa. Né di quello di un anno addietro, o di dieci, che nemmeno ricordo... e non ricordo nemmeno i pensieri che avevo dieci minuti fa...
Sulla loro base avevo fondato l'abitudine della mia identità e la storia della mia biografia, ma capisco ora che non c'è alcuna verità da difendere, ogni regola funziona soltanto all'interno del contesto per cui l'ho istituita e ogni pensiero termina per lasciare il posto a quello che lo segue: corrono verso il nulla, non hanno più bisogno della mia considerazione.

Jennifer Egan, The Candy House, 2022

Non c'è niente di originale nel comportamento umano. Qualsiasi idea io abbia sta probabilmente passando per la mente di altre decine di individui che rientrano nelle mie stesse categorie demografiche. Viviamo in modi simili, abbiamo pensieri simili. Ciò che gli elusori vorrebbero restaurare, ho idea, è quel senso di unicità che provavano prima che conteggi come i nostri dimostrassero loro quant'erano paurosamente simili a tutti gli altri. Il punto su cui gli elusori si sbagliano è che la quantificabilità non rende la vita umana meno degna di essere vissuta e neanche (questa è un'idea controintuitiva, lo so) meno misteriosa... così come identificare lo schema della rima in una poesia non priva quest'ultima del suo valore. Al contrario!

Kenzaburō Ōe, Gli anni della nostalgia, 1987

Dopo questo discorso, lei propose di giocare a bridge, gioco che andava molto di moda a quell'epoca. Quando cominciarono a giocare, io rimasi di nuovo escluso. Continuai a bere scotch da solo, dicendo tra me e me: “Se voglio continuare ad avere a che fare con il mondo giornalistico, devo assumere un atteggiamento più deciso. Quando esprimo la mia opinione, devo insistere, andare fino in fondo. Altrimenti non sarò mai convincente. Se mi ritiro a metà, divento lo zimbello di tutti. Qui pare che le cose funzionino così”.

László Krasznahorkai, Il ritorno del barone Wenckheim, 2016

Non amava nessuno, e nessuno amava lui, e di questo stato delle cose era profondamente soddisfatto, il rispetto era un'altra cosa, quello veniva da sé, purtroppo, derivava dalla stessa stupidità umana nei confronti della quale era impotente, non che se ne curasse troppo, non se ne curava troppo, tuttavia ogni qual volta ci si trovava di fronte gli causava atroci sofferenze, e in fin dei conti era stato proprio questo a spingerlo verso la prima decisione, poiché non si poteva ancora definire una decisione quando si risolvette a rinunciare alla scienza, ad abbandonare ogni attività scientifica, la cosiddetta ricerca scientifica, tale risoluzione fu piuttosto la naturale conseguenza del fatto che aveva perso interesse nei confronti dei muschi, di cui pure si era occupato per tutta la sua vita e che gli avevano procurato la notorietà in tutto il mondo, eppure arrivò un giorno in cui, guardando fuori dalla finestra, vedendo la scritta del Plenty Market dall'altro lato della strada e la lunga fila di gente già in coda pochi minuti prima dell'apertura, sicuramente dovuta agli sconti che quel giorno facevano sui pomodorini a grappolo e sulla Coca-Cola da mezzo litro, vedendo quell'insegna e quella fila gli passò la voglia di qualsiasi studio scientifico...