Patricia Highsmith, Quando a Mobile sbarcò la flotta, 1970

Si sentiva talmente felice da aver voglia di piangere. Perché era così bello? si domandò, con la musica nelle orecchie e le mani strette intorno alla pertica di metallo, e quel piccolo volare e quel piccolo sprofondare e tutto così bello... La gola le si strinse, ed ella aprì gli occhi, vedendo una macchia di alberi neri e puntini luminosi che balenavano e alcune figure all'impiedi ai bordi della giostra, sorridenti. Dov'erano i suoi genitori? Voleva fargli ciao. Poi le sue spalle si strinsero come se fosse stata colpita, e le lacrime sgorgarono agili dai suoi occhi, poiché si rese conto che era solo essere piccoli, con i genitori che le facevano ciao con la mano e le gridavano di reggersi forte, era solo essere a cavalcioni di quel cavallo e con l'abituccio corto e finire a letto nel giro di un'ora, ed essere troppo piccina per raggiungere con le dita dei piedi il fondo del letto, e l'indomani alzarsi e mettersi sui sedili posteriori della macchina e chiedere al padre “Dove pensi che dormiremo stanotte, papà?”, era semplicemente questo che era meraviglioso, e adesso era tutto, tutto finito per sempre.

Olga Tokarczuk, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, 2009

A volte mi capitava di entrare in chiesa e di stare seduta in pace con le persone. Mi è sempre piaciuto il fatto che le persone stanno insieme e non sono obbligate a parlarsi. Se potessero chiacchierare, comincerebbero subito a raccontarsi scemenze, pettegolezzi, comincerebbero a inventare e a darsi un tono. Così invece se ne stanno sedute nelle file, ciascuna immersa nei propri pensieri, rivedono nella mente le cose appena accadute, e immaginano che cosa accadrà ancora di lì a poco. In questa maniera controllano la propria vita. Come tutti, mi sedevo su una panca e piombavo in una sorta di dormiveglia. Pensavo pigramente, come se i pensieri mi arrivassero dal di fuori, dalle teste delle altre persone, o forse dalle teste di legno degli angeli posti lì vicino. Mi veniva sempre in mente qualcosa di nuovo, di diverso da come mi sarebbe venuto a casa. In questo senso la chiesa è un buon posto.

Ubaldo Berti, Giovanissimo Holden, “Snaporaz” 12 ottobre 2024

Io mi sento un po’ a disagio, perché il mio aspetto non comunica niente di artistico. Ancora una volta il mio senso di non valore letterario mi sta avviluppando, così arraffo un tovagliolino di quelli semitrasparenti e ci scrivo sopra qualche appunto con espressione severa e ispirata, poi però mi scordo di averlo fatto e mi ci pulisco la bocca, l’inchiostro blu si confonde con la marmellata ai frutti di bosco del cornetto integrale e dai miei scarabocchi emerge per un assurdo impasto combinatorio-oracolare la frase “non sai scrivere, vieni a lavorare in ditta finocc”, incompiuta ma eloquente.

Gilda Policastro, Sotto, 2013

Il brutto dell'amore è che quel tipo di attenzioni e di premure che riserviamo, ad esempio, agli amici, che non vogliamo irritare in alcun modo, e verso i quali siamo poi così attenti a scusarci se per caso li abbiamo offesi anche minimamente e perfino non in piena coscienza, non riusciamo poi per nessuna ragione ad avercele con chi amiamo, o crediamo di amare, visto che in questo tipo di amore (amore passione, amore schiavitù, amore possesso, amore gelosia, amore e basta) c'è più orgoglio che affetto, più tenzone che relazione, più incatenamento che incontro. Com'era e come non era, senza starci a elaborare intorno tutta un'altra recherche, Francisco l'aveva mollata, lei era in rotta coi suoi, smagrita e senza soldi, e il prof. sicuramente aveva un'altra.

Richard Yates, Revolutionary Road, 1961

Non credo di essermi mai sentita più annoiata e depressa e stufa in vita mia dell’altra sera. Ci mancava solo tutta quella storia sul figlio di Helen Givings, e hai visto come ci abbiamo tutti sguazzato dentro come porci; ricordo che ti guardavo e pensavo: “Dio, se solo la piantasse di blaterare”. Perché tutto quello che dicevi era basato su quella che è la nostra premessa fondamentale, che noi siamo qualcosa di diverso e superiore, e io avevo una gran voglia di dire: “Ma non lo siamo! Ma guardaci! Siamo tali e quali la gente di cui stai parlando! Siamo la gente di cui stai parlando!”.

Vitaliano Trevisan, Black Tulips, 2022

Ma, tornando ai miei uomini, perché questa identificazione?, forma retorica che mi rimanda a Pasolini, il quale, almeno in apparenza, dovrebbe essere un altro di questi uomini. Dunque perché «in apparenza»?
Qualcosa, nella sua scrittura, che, se anche può arrivare a persuadermi, non mi convince mai del tutto. Lo stesso con Testori. Credo abbia a che fare col cattolicesimo, e col relativo culto dei santi, specie se martiri. E sì: è esattamente questo, il martirio, che non mi ha mai convinto. Non che i santi, specie se laici, mi convincano di più; ma i martiri, che spesso sembrano accettare i supplizi con mistica gioia, mi fanno ancor più impressione.

Enzo Fileno Carabba, Vite sognate del Vasari, 2021

Alcuni dicono che fu arrogante, ma più che altro tendeva a essere insoddisfatto. se qualcosa non gli tornava nell'opera che stava dipingendo, magari per una critica ricevuta da qualcuno, o da una parte maligna di se stesso, la abbandonava. In certi casi la buttava in Arno. Come abbia fatto Cimabue nato in un secolo così grossolano a salire tanto in alto non lo sa nessuno, anche se a volte i secoli sono meno grossolani di quello che sembra. Giotto e Gaddo Gaddi erano i più abili a ripescare le opere di Cimabue dal fiume. A volte la gente li vedeva in acqua, pensava cercassero pesci invece cercavano di recuperare un quadro del maestro prima che si sciogliesse per sempre.

Cormac McCarthy, Stella Maris, 2022

Nemmeno io. Mi sta chiedendo se l'abbiamo fatto?
L'avete fatto?
No.
Cos'altro?
Sull'argomento?
Sì.
Molto probabilmente l'amore è di per sé un disturbo mentale.
È una battuta?
No.
Crede sia così?
Probabile. Forse no. A volte. La letteratura non è molto incoraggiante. L'esperienza nemmeno.

Uwe Johnson, Congetture su Jakob, 1959

Non riesco a immaginarlo: ripeté in silenzio Jakob, tra sé e sé, divertito come se avesse pensato tra sé e sé: la “Libertà” è più che altro il concetto di qualche cosa che manca, in questo senso: che non c'è. Uno, quando viene al mondo, quando parla di se stesso dice Io, e questo per lui è ciò che conta di più, ma si ritrova anche insieme con molti altri che sono venuti al mondo prima di lui, deve fare i conti con loro, per quanta importanza si dia; e nessuno è tanto libero da riuscire a eliminare le leggi della fisica per la sua persona. In quanto essere vivente, in quanto sono un essere sociale e naturale (io sono un...), tutto è ampiamente prestabilito. E questa è certo una concezione del mondo dal punto di vista Io, «ma questo Io non è inteso come libertà, fintanto che si pensa che l'uomo (i nostri uomini, le masse), come la guida dello stato, è determinabile secondo una schema elementare di causalità», e quindi avrebbe potuto parlare anche della situazione dell'economia agricola.

Neige Sinno, Triste tigre, 2023

A una domanda che tentava di individuare le ragioni per cui i soldati commettono le peggiori angherie nei luoghi dei conflitti, una volta mi è capitato di sentire un grande storico esperto delle due guerre mondiali rispondere: perché possono farlo. È una risposta che potrebbe sembrare banale, ma lui la diceva con profonda malinconia, risultato di una vita passata a indagare la guerra, il male, la violenza. Stuprano perché possono farlo, perché la società gli dà quella possibilità, perché qualcuno li ha autorizzati, e quando un uomo ha il permesso di stuprare, stupra.

Agnes Heller, Biopolitica e libertà, 2003

Che cosa è dunque naturale? Lo sono le epidemie o le carestie? Più precisamente si può domandare: essere naturale significa trovarsi in uno stato o possedere un funzionamento indipendenti dalla volontà o dalle azioni umane? Così precisata la domanda, quasi nulla può dirsi naturale eccetto la giungla e forse il deserto vergine. Ma si può anche definire naturale ogni relazione tra cause ed effetti che si sviluppano nella natura organica e inorganica (anche se questa è di per sé una tautologia). Se è così, tutto quanto può dirsi naturale: persino la clonazione, i reattori nucleari e le epidemie, così come l'arrestarsi del contagio in seguito a vaccinazioni o ad altri interventi. Se le cose stanno così, la domanda riguardante ciò che è naturale e ciò che non lo è risulta semplicemente priva di senso: o meglio, è questione di scelta.

David Markson, L'amante di Wittgenstein, 1988

Una volta qualcuno chiese a Robert Schumann di spiegare il significato di un certo brano musicale che aveva appena eseguito al pianoforte.
Ciò che Robert Schumann fece fu risedersi al piano e suonare il brano da capo.

Daniela Ranieri, Stradario aggiornato di tutti i miei baci, 2021

E l'anima? L'anima resta fuori da questo scambio, da questo travaso? L'anima ce la teniamo stretta: i corpi combaciano, tutt'al più si penetrano, ma le anime restano sigillate, e così ce ne andiamo dal mondo: come barattoli che non si sono mai aperti. L'anima è nei baci, in certi baci: si travasa coi baci...

Giulio Mozzi, Sono l’ultimo a scendere..., 30 marzo 2005

Io prendo il fiato e dico: «Non è vero che il fine giustifichi i mezzi. Più precisamente: non solo non è vero che qualunque fine giustifica qualunque mezzo, ma è vero invece che nessun fine giustifica qualunque mezzo. Ciò detto, sarebbe l’ora di finirla non solo con questa machiavellica storia del fine che giustifica, cioè rende giusti i mezzi, ma anche con un’altra storia, che con questa ha una parentela stretta, benché segreta. E cioè che vi siano fini che sono giusti in sé, indipendentemente dai mezzi. Ahimè no: non solo non è il fine che da solo decide della giustezza dei mezzi, ma sono anche i mezzi che decidono, in quanto mezzi (per esempio nella loro disponibilità o indisponibilità), della giustezza del fine. Il che non significa affatto, e qui concludo, che purché siano giusti i mezzi, ogni fine con essi conseguito è giusto. È chiaro?».

Guido Morselli, Dissipatio H.G., 1973

La fine del mondo?
Uno degli scherzi dell'antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell'uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. Il vecchio Montaigne, sedicente agnostico, si schierava coi dogmatici, coi teologi: «Ainsi fera la mort des autres choses notre mort».
Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è mai stato così pulito, luccicante, allegro.

Georges Simenon, Il dottor Bergeron, 1937

Aveva davvero accettato il suo destino una volta per tutte? E se la sua leggerezza fosse derivata proprio dal fatto di non averci creduto fino in fondo? Lui era là, a casa sua, o nella sua strada, nella sua parrocchia, dai suoi pazienti, come dal vecchio Hautois o dai Portal, e aveva l'impressione che loro fossero lì realmente, definitivamente, ma che lui fosse solo di passaggio, che non ci credesse, che fosse una cosa provvisoria, non più reale delle immagini che lui stesso creava con il gioco della tapparella.

Ilaria Gaspari, La reputazione, 2024

Mi vergognavo anche, e non a torto, dei cliché in cui incappava la mia fantasticheria; ma che ci potevo fare, era un sogno d'infanzia. Intanto facevo quel che potevo, o che credevo di poter fare. Osservavo, fantasticavo. Mi pareva che il ruolo di scrittrice finalmente avrebbe offerto una giustificazione all'accidia, alla mia scarsa attitudine all'attività, alla lentezza con cui mi trascinavo nella vita, perdendo la metà del mio tempo a cercare di capire che fare dell'altra metà.

Jim Baggott, Origini, 2015

Grazie all'uso del linguaggio e all'impegno dei circuiti neurali implicati nel cervello sociale, i primi esseri umani moderni sono in grado di costruire comunità più ampie. Adesso il limite delle loro dimensioni è determinato solo dalle capacità neurali dei membri. Sulla base di estrapolazioni a partire da relazioni tra le dimensioni dei gruppi sociali e il rapporto tra lobi frontali e dimensioni del cervello sottocorticale nelle antropomorfe, Dunbar stima che in natura le dimensioni massime del gruppo, per gli esseri umani moderni, sia di circa 150 individui. Questo è a volte indicato come “numero di Dunbar”.
Noi oggi naturalmente viviamo in comunità molto più numerose, addirittura in città con milioni di abitanti. Ma non è in questo senso che Dunbar usa il concetto di “comunità”: possiamo benissimo vivere e lavorare in mezzo a un gran numero di persone; ma quante ne conosciamo davvero (e quante ci stanno a cuore)? Quante persone consideriamo parte della nostra famiglia e della nostra cerchia di amicizie (compresi gli amici di Facebook)? E quante di queste sono mere conoscenze, con le quali non abbiamo alcuna autentica relazione? Nei loro studi, gli scienziati hanno spaziato su una gamma molto ampia di comunità diverse - antiche e moderne: continua a emergere il numero 150.

Alain-Fournier, Il grande Meaulnes, 1913

Inspiegabilmente, questa serata che volevo eludere mi pesa. Mentre le ore passano, mentre la giornata sta per finire e io vorrei fosse già finita, ci sono uomini che in essa hanno riposto ogni speranza, tutto il loro amore e le loro ultime forze. Ci sono uomini in punto di morte, altri per i quali incombe una scadenza e vorrebbero non fosse mai domani. Ce ne sono altri per i quali la giornata di domani sorgerà come un rimorso. Altri che sono stanchi, e questa notte non sarà mai abbastanza lunga per dare loro tutto il riposo di cui hanno bisogno. E io che ho sprecato la mia giornata, con che diritto oso invocare il domani?

Gilda Policastro, Il metaverso, 2024

Nemmeno gli scienziati di oggi possono dare risposte certe, in assenza di studi ampi o di lungo termine (e neanche in quel caso, probabilmente, ne darebbero di tranquillizzanti, di sicuro non di definitive); come il diritto o l'economia la scienza fa parte dei cosiddetti saperi settoriali e gli specialisti, si sa, non amano la divulgazione, giudicando chi vi si abbandona un pericoloso corruttore: più sappiamo, più noi profani possiamo esprimerci su qualsiasi argomento, più confusione si crea nei diversi ambiti. Appare sempre più necessario doverlo sottolineare: vale anche per la letteratura.

Filippo Tuena, Memoriali sul caso Schumann, 2015

Ho dovuto raccontare questa storiella a Mackellar perché, da buon scozzese, ignora ogni mito che non sia ossianico. Ed è così romantica quella musica, invece, che ogni volta che l’ascolto penso a Leandro che attraversa di notte l’Ellesponto, guidato dal lume che l’amata Ero accende sulla sponda opposta, e mi viene da piangere. E ripenso agli amori di gioventù, a quel passo ardito che avevo quando andavo a un appuntamento, passo che ho perduto, non perché abbia perduto la capacità d’amare, ma perché me ne vergogno, come se quel sentimento fosse destinato solo alla gioventù.

Colette, Camera d'albergo, 1940

«Non si può rifare una circostanza fortuita, incontrandosi due volte per caso in una cittadina termale. Mi avete detto voi stessa che, in tutta la vostra vita, non avevate mai affittato uno chalet orrendo né ascoltato i consigli di una tal signorina d'Orgeville...»
Poteva continuare, la buona Antoinette. Era meglio che ignorasse che una conflagrazione di coincidenze costituisce una sorta d'impegno, che esiste anche un trantran dell'imprevisto. Una congiuntura ci sembra unica perché non siamo tanto perspicaci da scoprire che essa, vestita a nuovo, si accompagna a un vecchio caso identico...

Iris Murdoch, Under the Net, 1954

Provavo una specie di tristezza confusa. Mi si offriva un mucchio di denaro; e non capivo bene perché lo rifiutassi: ammesso che quel che stavo facendo fosse un rifiuto. Ma quel che era più importante, mi si offriva la chiave di quel mondo in cui il denaro scorre facilmente e in cui con la stessa fatica si possono ottenere risultati enormemente più brillanti: come scaricare il peso da una parte stanca del corpo a un’altra fresca di forze. Quanto alla mia coscienza, avrei potuto sistemarla in pochi mesi. Col tempo avrei potuto guadagnarmi il mio posto in quel mondo, come chiunque altro. Tutto quel che dovevo fare era chiudere gli occhi e avviarmi. Ma perché la strada che vi conduceva sembrava così dura? Ero angosciato. Mi pareva di gettar via la sostanza per l’ombra. Quel che preferivo era un vuoto, di cui non avrei potuto dare nessuna spiegazione comprensibile.

Antonia Pozzi, Pudore, 1° febbraio 1933

Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.

Paul Guimard, Un concours de circostances, 1990

Due passeggeri di uno stesso treno, seduti l’uno di fronte all’altro nello stesso scompartimento, non fanno lo stesso viaggio. L’uno interpreta il paesaggio sulla base degli elementi che gli vengono incontro; elementi che l’altro vedrà un attimo dopo, da un’altra prospettiva, sotto un’altra luce, dunque diversi; o che non vedrà affatto se tra lui, osservatore in movimento, e l’oggetto osservato si frapporrà un qualunque ostacolo, per esempio un cavalcavia. Dal canto suo, il passeggero seduto in direzione opposta al senso di marcia scopre un universo che gli occhi del suo dirimpettaio ignoreranno. Somiglia tanto alla mia vita coniugale. Da vent’anni io e Isabelle ci muoviamo insieme nello spazio e nel tempo l’uno di fronte all’altra, più che fianco a fianco. Dubito che vediamo lo stesso paesaggio.

Elizabeth Von Arnim, Un incantevole aprile, 1921

Cosa curiosa, sentiva il desiderio di pensare, e di ciò era stupita più di chiunque altro. Mai prima d’allora aveva provato quel desiderio. Tutto ciò che era possibile fare senza disturbarsi troppo lo aveva fatto, o pensato di farlo, nei diversi periodi della sua vita, ma mai aveva desiderato pensare. A San Salvatore era venuta con uno scopo: rimanere distesa al sole in una sorta di letargo per quattro settimane, in un luogo da cui fossero assenti genitori e amici, nella bambagia dell’oblio da cui sarebbe uscita solo per mangiare. Era lì soltanto da poche ore, ma questo nuovo e strano desiderio si era già impossessato di lei.

Alexander Schnell, “Reportagen”, luglio 2018

Al ritorno da un giro in taxi, un abitante di Raversdorf racconta di aver incontrato un rifugiato, cioè un rifugiato vero che interpreta un rifugiato anche in questo gioco di ruolo. Finora quello era l’unico lavoro che era riuscito a procurarsi in Germania. Sembra che il rifugiato gli abbia anche detto: “Quando ho attraversato il Mediterraneo su un barcone non mi sarei mai immaginato che il mio lavoro in Europa sarebbe stato interpretare un rifugiato”.

Alberto Arbasino, Fratelli d'Italia, 1963

... Con quell'aria incantata, conoscendo e nominando tantissima gente: come se questa che doveva sposare quello fosse familiare a chiunque... Tutte quelle cose detestabili da Tout Paris, la parlerie, i superlativi, i punti esclamativi, tutto ravissant, tutto délirant, anche formidable e admirable, e prodigieux, e furieux, e inouï, e su-per-be! e tutto sempre sullo stesso piano... Ogni settimana, perdere la testa tutti insieme per una novità che è una sciocchezza ma non si può rimandare e non si parla d'altro e non si può applaudire altro... Tutti lì: ravissant, admirable, su-per-be!... La settimana dopo, nuovi entusiasmi, tutti insieme, altra moda, di corsa!...

Silvio D'Arzo, Casa d'altri, 1952

Starlo a sentire era un po’ un divertimento per me. Beh, anche una cosa triste però. Un poco triste. Voi guardate il vestito di quell’ometto laggiù, impiegato al Comune o anche vedovo, e la prima cosa che vien da pensare è che un giorno è stato nuovo anche lui. E anche l’ometto, s’intende.

Julio Cortázar, Divertimento, 1949

Ci si stufa a vedere che le cose insensate possiedono basi più profonde delle verità scientifiche e che la riflessione finisce per allearsi con gli impulsi primitivi, consegnandoci al capriccio della poesia pura, al grande salto verso ciò che più ci appartiene: l’atto irrazionale.

Alessandro Broggi, Sì, 2024

Eppure a me sembra che il chiacchiericcio dei miei pensieri di questo momento non sia più rilevante di quello di ieri, dell'altro ieri o di settimana scorsa. Né di quello di un anno addietro, o di dieci, che nemmeno ricordo... e non ricordo nemmeno i pensieri che avevo dieci minuti fa...
Sulla loro base avevo fondato l'abitudine della mia identità e la storia della mia biografia, ma capisco ora che non c'è alcuna verità da difendere, ogni regola funziona soltanto all'interno del contesto per cui l'ho istituita e ogni pensiero termina per lasciare il posto a quello che lo segue: corrono verso il nulla, non hanno più bisogno della mia considerazione.

Jennifer Egan, The Candy House, 2022

Non c'è niente di originale nel comportamento umano. Qualsiasi idea io abbia sta probabilmente passando per la mente di altre decine di individui che rientrano nelle mie stesse categorie demografiche. Viviamo in modi simili, abbiamo pensieri simili. Ciò che gli elusori vorrebbero restaurare, ho idea, è quel senso di unicità che provavano prima che conteggi come i nostri dimostrassero loro quant'erano paurosamente simili a tutti gli altri. Il punto su cui gli elusori si sbagliano è che la quantificabilità non rende la vita umana meno degna di essere vissuta e neanche (questa è un'idea controintuitiva, lo so) meno misteriosa... così come identificare lo schema della rima in una poesia non priva quest'ultima del suo valore. Al contrario!

Kenzaburō Ōe, Gli anni della nostalgia, 1987

Dopo questo discorso, lei propose di giocare a bridge, gioco che andava molto di moda a quell'epoca. Quando cominciarono a giocare, io rimasi di nuovo escluso. Continuai a bere scotch da solo, dicendo tra me e me: “Se voglio continuare ad avere a che fare con il mondo giornalistico, devo assumere un atteggiamento più deciso. Quando esprimo la mia opinione, devo insistere, andare fino in fondo. Altrimenti non sarò mai convincente. Se mi ritiro a metà, divento lo zimbello di tutti. Qui pare che le cose funzionino così”.

W.G. Sebald, Gli anelli di Saturno, 1995

Come accade in questo continuo processo dove si mangia e si viene mangiati, anche per Thomas Browne nulla è destinato a durare. Su ogni nuova forma già si allunga l’ombra della distruzione. La storia di ogni singolo individuo, di ogni collettività e del mondo intero non descrive infatti un arco sempre più ampio e sempre più bello, bensì una traiettoria che, dopo aver toccato lo zenit, volge alle tenebre. Per Browne questa sua scienza, che prevede la scomparsa nell’oscurità, è inseparabilmente legata alla fede nella Resurrezione, fede secondo cui quel giorno, quando – come a teatro – gli ultimi rovesciamenti di scena si saranno compiuti, gli attori si presenteranno ancora una volta tutti sulla ribalta, to complete and make up the catastrophe of this great piece.

László Krasznahorkai, Il ritorno del barone Wenckheim, 2016

Non amava nessuno, e nessuno amava lui, e di questo stato delle cose era profondamente soddisfatto, il rispetto era un'altra cosa, quello veniva da sé, purtroppo, derivava dalla stessa stupidità umana nei confronti della quale era impotente, non che se ne curasse troppo, non se ne curava troppo, tuttavia ogni qual volta ci si trovava di fronte gli causava atroci sofferenze, e in fin dei conti era stato proprio questo a spingerlo verso la prima decisione, poiché non si poteva ancora definire una decisione quando si risolvette a rinunciare alla scienza, ad abbandonare ogni attività scientifica, la cosiddetta ricerca scientifica, tale risoluzione fu piuttosto la naturale conseguenza del fatto che aveva perso interesse nei confronti dei muschi, di cui pure si era occupato per tutta la sua vita e che gli avevano procurato la notorietà in tutto il mondo, eppure arrivò un giorno in cui, guardando fuori dalla finestra, vedendo la scritta del Plenty Market dall'altro lato della strada e la lunga fila di gente già in coda pochi minuti prima dell'apertura, sicuramente dovuta agli sconti che quel giorno facevano sui pomodorini a grappolo e sulla Coca-Cola da mezzo litro, e vedendo quell'insegna e quella fila gli passò la voglia di qualsiasi studio scientifico...

Javier Cercas, intervista “La Stampa”, 17 novembre 2011

In realtà sappiamo che la Storia non ha alcun senso, nessuna razionalità, non domina Hegel ma Shakespeare, un continuo, anche cruento dramma senza senso. Ci sono però, effettivamente, momenti in cui anche la Storia sembra arrestarsi, e tutto ci pare acquistare un senso: è un’illusione, però ci è indispensabile, quella che io chiamo le figure della storia.

Edvard Radzinskij, Rasputin, 2000

È strano, ma l'idea era condivisa da tutta l'intellighenzia russa, persino quella più radicale, che odiava gli zar e ne era odiata. Tutti i pensatori famosi e autorevoli che spesso litigavano tra loro e si smentivano reciprocamente, Tolstoj, Dostoevskij, Turgenev, tutte le diverse correnti del pensiero filosofico russo concordavano su questo concetto: solo il popolo semplice, umile, analfabeta e oppresso possedeva una sua intima verità. Solo nelle tenebre delle umili casupole contadine era ancora vivo lo spirito autentico di Cristo, che si conservava grazie alla sofferenza costante. Da esso si doveva imparare come vivere in modo saggio e cristiano.
E si verificò una cosa curiosa: anche lo zar russo professava queste idee. Quell'imperatore timido, basso di statura, con un portamento tutt'altro che maestoso, si sentiva a disagio ai balli e alle riunioni ufficiali, nell'ambiente dei cortigiani e dei ministri, dove gli sembrava sempre di essere paragonato al padre defunto, il gigante. Ed era invece felice tra le persone semplici, in un'atmosfera di venerazione, di devozione.

Donna Tartt, Il piccolo amico, 2002

Non facevano per lei i libri per ragazzi dove i ragazzi crescevano, come se «diventare grandi» (nei libri come nella vita) implicasse un repentino e inspiegabile cedimento del carattere. Nel bel mezzo di una vita splendida gli eroi e le eroine dicevano improvvisamente addio alle loro avventure per qualche insulso innamorato, si sposavano e mettevano su famiglia, e generalmente prendevano a comportarsi come un branco di mucche.

Francesco Cataluccio, Il ghigno tragicomico dell'immaturità, 2020

Ma, rispetto a Peter Pan, il protagonista di Ferdydurke ha dei dubbi: è visceralmente innamorato della propria immaturità e, al tempo stesso, vede l’immenso baratro di stupidità che la circonda. L’Autenticità umana che molti, dall’evangelista Matteo a Rousseau, hanno identificato con la fanciullezza, in realtà non esiste: è un mito.

Ennio Flaiano, Una e una notte, 1959

Verso le sei, quando i suoi colleghi cominciavano ad arrivare, se ne sarebbe andato. Non resisteva a quell'allegria, che subito creavano, di solidale attività, al loro gergo di cronaca che immiseriva i fatti della vita in un cinismo quotidiano e abitudinario.

Marino Magliani, Materiali onirici di un somarello marino, 2024

Un amico, forse il solo avuto durante la vita, mentre facevano cabotaggio, così, parlando della vita, aveva attribuito quel disagio a una forma di stress. Ma lui certi termini li ignorava e lo stress preferiva chiamarlo spavento. Spavento nel suo dizionario comprendeva molte cose, tra cui la nausea e l'angoscia e altri sconforti del genere. Spavento era il vento contrario, cos'altro avevano conosciuto i suoi giorni, quella continua patina e corrente contraria che non ti molla, tu non la cerchi, puoi persino voltarti e tornare sui tuoi passi, non serve mica, il vento contrario fa il giro e ti aspetta, te lo ritrovi davanti, e allora sì, prima o poi ti arrendi o ti fermi. Spavento era stata dunque la vita? Ma dai, ora esagerava. Eppure tolte le emozioni simpatiche e solitarie contro una parete di spugna tiepida, non possedendo per destino mani amiche, e tolti i fastidi, punizioni, tolti metodi di una ripetizione stagionale, se c'era qualcosa di perfettamente intatto e non contaminato nella sua esistenza, era proprio lo spavento, sempre lo stesso, iniziato nel preciso momento in cui forse era uscito dal grembo dolce di suo padre e aveva gridato, e lo spavento durava da allora ad oggi, compresi tutti gli oggi futuri della vita.

Witold Gombrowicz, Ferdydurke, 1938

E soprattutto c’era qualcosa che mi accompagnava continuamente non allontanandosi mai neanche di un passo, qualcosa che avrei potuto chiamare la consapevolezza inframolecolare di uno scherno interiore, di un intimo dileggio fra le capricciose parti del mio corpo e le corrispondenti parti della mia anima.

Emily Brontë, Poems by Currer, Ellis, and Acton Bell, 1846

The night is darkening round me,
The wild winds coldly blow;
But a tyrant spell has bound me
And I cannot, cannot go.
The giant trees are bending
Their bare boughs weighed with snow,
And the storm is fast descending,
And yet I cannot go.
Clouds beyond clouds above me,
Wastes beyond wastes below;
But nothing dread can move me -
I will not, cannot go.

Silvia Acierno, “exlibris20”, 3 maggio 2024

Dire che il romanzo è morto è una messa in scena, un melodramma. Alle ossessioni di un’epoca si sostituiscono quelle della successiva, in una rivisitazione continua di quell’antica querelle tra antico e moderno. Noi che ci struggiamo tra quei soliti due estremi, la nascita e la morte - della tragedia, del romanzo e di noi stessi.

Annie Proulx, Avviso ai naviganti, 1993

Prese l’abitudine di passeggiare avanti e indietro nella roulotte chiedendosi ad alta voce: «Chissà? Chissà?» Lo ripeteva in continuazione. Perché nessuno sapeva. Ciò che intendeva dire era: tutto può accadere. Una moneta che gira su se stessa, in equilibrio sul bordo, può cadere da qualsiasi parte.

Václav Havel, Un uomo al Castello, 2006

Ho tenuto un discorso a Parigi per i rappresentanti delle maggiori corporazioni sopranazionali, veri e propri padroni dell’attuale mondo globalizzato. Mi ero preparato un discorso molto forte in cui criticavo il comportamento delle grandi corporazioni, la loro assoluta mancanza di rispetto, l’omologazione del mondo, l’onnipresente dittatura della pubblicità e del profitto etc. etc. Prima del discorso, che ho letto in inglese, ero oltremodo nervoso, perché temevo di essere fischiato oppure che tutti se ne andassero per protesta. È successo esattamente il contrario: mi hanno ascoltato con estrema attenzione e alla fine ho ricevuto un battimani enorme, addirittura hanno applaudito in piedi.
Esistono tre spiegazioni possibili:
1. Non hanno applaudito il mio discorso, ma la mia persona, cioè il simbolo, quella mia storia di vita un po’ da fiaba con un curioso happy end.
2. Applaudivano se stessi, l’infinito potere e le ricchezze di cui dispongono, che hanno permesso loro di ingaggiare un critico feroce del loro operato e di rendergli omaggio, snobbando nel frattempo, in maniera elegante, le sue idee.
3. Non escludo affatto la possibilità che mi abbiano applaudito semplicemente perché erano d’accordo con me, erano contenti che qualcuno avesse parlato in loro vece. Infatti, molti di loro non esprimono, con il comportamento, la loro reale opinione sul mondo e sul progresso, ma sono trascinati dall’enorme “autocinesi” della civiltà contemporanea, contro la quale non hanno il coraggio di parlare per non mettere a rischio la propria agiatezza, ben consci però della sua ambiguità.

Vladimir Nabokov, Cose trasparenti, 1972

Forse, se il futuro esistesse in modo concreto e individuale, come qualcosa che può essere percepito da un cervello superiore, il passato non sarebbe così seducente: le sue esigenze risulterebbero controbilanciate da quelle del futuro. Le persone potrebbero allora stare a cavalcioni sul punto centrale dell'asse in bilico mentre contemplano questo o quell'oggetto. Potrebbe essere divertente.

María Zambrano, “Sur”, novembre-dicembre 1969

L'attitudine filosofica è quanto di più simile ci sia a un congedo, alla partenza del figliol prodigo dalla casa del Padre: dalla tradizione ricevuta, dagli dèi incontrati, dalla familiarità e perfino dal mero commercio con le cose, così come questo si è venuto consolidando con l'abitudine. Più che a ogni altra cosa, essa fa pensare a un rigetto di tutto ciò che si era ricevuto non meno radicale di quello che mostrano certe luminose vocazioni religiose, che molto possiederebbero di demoniaco agli occhi del mondo se il mondo fosse capace di accorgersi di loro nel momento in cui si producono piuttosto che dopo, quando ormai sono storia.

Flann O'Brien, “Envoy”, maggio 1951

Anche un episodio del genere potrebbe sembrar buffo, ma il fatto curioso è questo: che Joyce impiegò tutta la vita per trasformarsi in un personaggio letterario. Con un'attrazione di tipo narcisistico, egli creò Dedalus, l'uomo senza età. Introducendo nei suoi libri personaggi presi dalla realtà, egli riuscì con grande maestria a ottenere l'effetto opposto, ossia a renderli romanzeschi e leggendari. Ciò, ovviamente, si scontra col senso comune. Migliaia di persone credono infatti che un tizio di nome Sherlock Holmes sia esistito davvero.

Thomas Mann, Doktor Faustus, 1947

«Perplessità» è un'eccellente espressione; io ne ho sempre avuta un'alta considerazione filologica. È parola avvolta dalla luce ambigua che scaturisce sia dal lato ammirevole sia da quello equivoco di una cosa o di un uomo, e che invita ad affrontare ma anche a evitare un argomento o, in ogni caso, ad avvicinarlo con grande cautela.

Carlo Sini, Sentire il mondo, 2005

Ma colui che nasce viene al mondo sull'onda del primo battito che riesce ad avvertire. Come questo accada è un mistero. Come faccio io a nascere dicendo: «ecco il battito della mia mamma»? Come posso avvertirlo io, che prima non c'ero? Si viene infatti al mondo con questa prima percezione. Un tale interrogativo schiude il grande enigma del tempo, che è anche l'enigma del concetto, del riconoscimento, del pensiero. Dobbiamo dire francamente che noi non siamo mai presenti al primo battito. Si viene al mondo non in un'origine assoluta: si viene propriamente al mondo con il secondo battito. Avvertire qualcosa a un certo punto significa infatti che il feto dice a se stesso: «oh, eccolo di nuovo, il battito». Questo riconoscimento rappresenta il concetto, il pensiero, il segno. In altre parole: io non posso conoscere il mondo, né il battito che mi fa venire al mondo. Posso soltanto riconoscerlo, posso cioè dire «eccolo di nuovo». Ciò che siamo in grado di conoscere è il ritmo, non l'origine di questo battito. L'origine è retroflessa nel secondo battito, che dice: «ecco che viene ancora il primo». Ed è così che si dà un primo, un'origine, una madre. Così si dà un mondo.

Jonathan Coe, Donna per caso, 1987

“Non lo so” disse Maria. “A volte ho la sensazione che negli ultimi anni ho combinato meno che in tutto il resto della mia vita. Ma poi non sono nemmeno sicura di aver mai combinato qualcosa. Non sono nemmeno sicura di sapere cosa significa. Una volta ho messo qualcuno al mondo, un bambino, ma non c'è molto altro.” Fece un sorriso, un sorriso rapido e contratto, poi ripeté: “Non c'è molto altro”.

Flannery O'Connor, Scrivere racconti, 1957

Ho una zia che pensa che in un racconto non succeda niente se alla fine non c'è un matrimonio o una fucilazione. Ho scritto una volta un racconto, la storia di un vagabondo che sposa la figlia ritardata di una vecchia per venire in possesso dell'automobile di quest'ultima. Dopo il matrimonio, parte per il viaggio di nozze con l'automobile e con la ragazza ritardata, che abbandona in un'area di ristoro per proseguire il viaggio da solo. Si tratta di una storia dotata di completezza. Non c'è altro da dire sul mistero della personalità del protagonista attraverso quella particolare drammatizzazione. Eppure non sono mai riuscita a convincere mia zia che questa è una storia completa. Continua a chiedermi che fine ha fatto la ritardata.

Jonathan Littell, Le benevole, 2006

Se l'avessi domandato a Zorn, sapevo che mi avrebbe risposto: «Proprio per approfittarne prima di crepare, per godere un po'», ma non ce l'avevo con il godimento, anch'io sapevo godere quando volevo, no, ce l'avevo probabilmente con la loro terribile mancanza di autoconsapevolezza, con quel modo straordinario di non pensare mai alle cose, a quelle buone come a quelle cattive, di lasciarsi trascinare dalla corrente, di uccidere senza capire perché e senza nemmeno darsene pensiero, di brancicare delle donne perché erano disponibili, di bere senza nemmeno cercare di assolversi dal proprio corpo. Ecco cosa non capivo, io, ma non mi si chiedeva di capire.

Graham Harman, “Filozofski vestnik”, 2012

Se il metodo e la conoscenza consistono nel localizzare le qualità delle cose, la filosofia è un contro-metodo e una contro-conoscenza il cui obiettivo è giungere alla cosa-in-sé separata dalle sue qualità. Ma se la filosofia combatte una battaglia in solitaria nella sua ambizione a considerare tutti i tipi di oggetti (inclusi quelli non reali), non è la sola disciplina a presentarsi come contro-metodo e contro-conoscenza: sua parente prossima è l’arte. Al contrario, persino l’etimologia della parola “scienza” tradisce la sua aspirazione a essere un tipo di conoscenza che consiste in un accesso diretto alle qualità delle cose, guidato da un forte scetticismo nei confronti di entità fantasmatiche in eccesso, non accessibili a una forma di intelletto di tipo discorsivo.

Ermanno Cavazzoni, Manualetto per la prossima vita, 2024

A differenza dei pesci, degli insetti, dei rettili e degli altri mammiferi, noi umani viviamo in mezzo agli spiriti, cioè a esseri che non si vedono ma che ci premono e ci condizionano. E ci auguriamo di diventare dopo la vita pure noi spiriti, per continuare bene o male a vivacchiare nei posti dove avevamo vissuto. Col passare del tempo gli spiriti quindi si accumulano, e si concentrano negli appartamenti come sardine in scatola, dove passano il tempo a osservare la vita degli abitanti che si dicono ancora vivi.

Veronica Raimo, Miden, 2018

Ho finito di rispondere al questionario. Avevo l'impressione che avrei potuto rispondere indifferentemente sì o no a tutte le domande e non avrei comunque mentito.

Paul Auster, La musica del caso, 1990

«Cominci a sembrarmi un po' Flower, Jack. Il tizio vince una lotteria, e tutto d'un tratto pensa di essere stato eletto da Dio.»
«Non sto parlando di Dio. Dio non c'entra niente con questo.»
«È semplicemente un'altra parola per la stessa cosa. Tu vuoi credere in un fine nascosto. Cerchi di persuaderti che c'è una ragione per ogni cosa che avviene in questo mondo. Non ha importanza come lo chiami - Dio o fortuna o armonia - si finisce sempre nelle stesse palle. È un modo di evitare i fatti, di rifiutarsi di osservare come vanno davvero le cose.»

Giuseppe Rensi, La filosofia dell'assurdo, 1937

Mi diventa sempre più sbalorditiva e violenta l'impressione che la vita sia fondata su questo fatto semplicissimo e famigliarissimo: il mangiare. Perché, cosa vuol dire mangiare? Che una vita distrugge lietamente, saporosamente un'altra vita per incorporarsela; che deve distruggere per conservarsi. Ma che vuol dire dunque che per vivere occorra necessariamente mangiare, che la vita per reggersi abbia imprescindibile bisogno del mangiare? Vuol dire che la vita (la realtà) per esistere ha bisogno di distruggere se stessa. Una realtà che si mantiene solo annientandosi, che si afferma solo togliendosi, che si pone solo negandosi. Non è forse ciò, per la nostra mentalità, l'espressione stessa dell'assurdo?

Daniel Keyes, Fiori per Algernon, 1966

Non so bene, in ogni modo, che cosa voglia dire quoziente di intelligenza. Il professor Nemur ha detto che è qualcosa per misurare quanto si è intelligenti... come una bilancia dal droghiere pesa i chilogrammi. Ma il dottor Strauss ha avuto con lui una lunga discussione e ha detto che il quoziente non pesa affatto l'intelligenza. A parer suo, il quoziente di intelligenza misura la capacità di essere intelligenti, come i numeri all'esterno di una provetta. Resta sempre da riempire la provetta con qualcosa.

Ernesto Aloia, Camere oscure, 2024

Cosa cerca davvero Gatsby, Daisy oppure la luce verde tremolante sulla lontana sponda dello stretto? Non è una donna che vuole recuperare ma, al di là delle apparenze, un momento preciso del passato, il momento in cui tutto era ancora possibile. Il momento cosmogonico delle nostre vite. Quando, come prima dell'inizio del tempo, tutte le possibilità erano ancora rinchiuse in un punto senza dimensioni, tutte coesistenti, tutte ugualmente attive.

Antonio Moresco, Gli increati, 2015

Ci sono schiere di scrittori vivi nelle città dei vivi, che combattono gli uni contro gli altri come se fossero vivi. Si sbranano per contendersi un tempo che non c'è più, che non c'è mai stato, che non ci sarà. Combattono per restare vivi, per diventare morti. Si gettano con i loro volti morti e con le loro frenetiche codine morte lungo il canale uterino della vita morta, e ognuno di loro vorrebbe essere il primo a sfondare l'ovulo della vita che sta dentro la morte. C'è un'enorme placenta ormai sul punto di scoppiare che contiene tutti gli scrittori di questa epoca finale della cosiddetta vita umana e del mondo. Se ne stanno là, addormentati e atterriti, con le loro manine che stringono anche nel sonno le loro piccole narrazioni dislocate dentro un tempo che non c'è più, con i loro occhietti sbarrati anche nel sonno, schiere di corpicini allineati nel buio come negli universi larvali sotterranei degli insetti.

Zadie Smith, Cambiare idea, 2010

La profonda ostilità di Nabokov nei confronti di Freud non era un capriccio casuale: a farlo inorridire era proprio la teoria dell’inconscio. Non sopportava di ammettere l’esistenza di un potere secondario in grado di dirigere e dirottare il suo. Penso a quella deliziosa idea di Kundera: «I grandi romanzi sono sempre un po’ più intelligenti dei loro autori». È questo, in parte, ciò che Barthes aveva da dirci e ciò che Nabokov voleva contestare. Forse ogni scrittore ha bisogno di mantenere la fede in Nabokov, e ogni lettore in Barthes.

Solvej Balle, Il volume del tempo | 1. L'enigma, 2020

Thomas non dubitava che io dicessi la verità. Aveva parlato con me ma se ne era dimenticato. E questo fatto lo spaventava. Una cosa era che avessi riscontrato un guasto nel normale tempo precedente, ma il fatto che lui avesse preso parte di persona al mio giorno, che avesse intrattenuto conversazioni e compiuto atti che non ricordava, evidentemente gli procurava lo stesso senso di vertigine e di agitazione che avevo provato io vedendo la fetta di pane planare verso il pavimento. Lo strano attimo in cui ti manca la terra sotto i piedi, e di colpo ti sembra che tutta la prevedibilità di questo mondo può essere soppressa, come se all'improvviso fosse scattata un'allerta massima esistenziale, un quieto panico, che non ti spinge a fuggire né a gridare aiuto, e non richiede ambulanze né squadre di soccorso. È come se questa allerta si trovasse pronta in fondo alla coscienza, quasi come un fondamentale di cui solitamente non hai percezione, ma che si attiva non appena noti l'imprevedibilità del mondo, la consapevolezza che tutto può cambiare in un attimo, che quel che non può accadere, che non ci aspettiamo assolutamente, è comunque possibile. Che il tempo si fermi. Che la gravità cessi. Che la logica del mondo e le leggi della natura crollino. Che dobbiamo riconoscere che la nostra aspettativa riguardo all'invariabilità del mondo poggia su fondamenta fragili. Non ci sono garanzie, e dietro a tutto ciò che abitualmente riteniamo certo ci sono eccezioni improbabili, rotture improvvise e inimmaginabili violazioni delle leggi vigenti.

Paola Randi, intervista 4 giugno 2018

Mio padre era di Palermo, mia madre di Venezia, sono andati a Milano a vivere, mia sorella sta a Londra e io a Roma. Into Paradiso è nato anche dal fatto che allora i giornali parlavano di emergenza sicurezza collegandola sempre agli immigrati. Una cosa mi colpì molto: in un Paese che ha ben tre tipi diversi di mafia e condannati e collusi col crimine perfino in parlamento, che il pericolo nazionale fosse dato dai rifugiati a me sembrava una cosa folle. Quindi sono andata a cercare di capire chi fossero queste persone, e a Napoli l'immagine che mi ha aperto la strada è stata quella di piazza Dante, divisa tra gli scugnizzi da una parte che giocavano con una pallina da tennis, e gli srilankesi eleganti, dall'altra, a cricket.

Giuseppe Berto, Dopo la rovina, 1953

Per la prima volta nella nostra storia avevamo assunto un ruolo da protagonisti e siamo clamorosamente falliti. Ed ora, invece di additare le cause di quel fallimento nelle nostre ambizioni sbagliate e nella nostra incapacità a svolgere un compito che evidentemente non era il nostro, ci ostiniamo ad incolpare pochi, come se noi in quel tempo non avessimo partecipato alle vicende di cui eravamo bene o male attori. È troppo facile dire: ci hanno ingannati. Bisognava avere la stoffa della gente che non si lascia ingannare. Ed è ancora più disonesto dire: non ci hanno ingannati ma ci hanno costretti, e noi da furbi siamo vissuti in attesa del giorno in cui tutto il castello delle ridicolaggini retoriche sarebbe crollato. Bisognava avere la stoffa della gente di ribellarsi alle cose ridicole che portano alla rovina. Invece non abbiamo fatto nulla, siamo andati da ignavi incontro alla nostra più grande disfatta. [...] Il popolo aveva paura, i soldati avevano paura. Troppi scappavano appena era possibile, io per primo. Non c'è vergogna a riconoscerlo. È assurdo pensare che tutta la grandezza di una nazione consista nella più grande capacità di affrontare la morte o di dare la morte. La guerra non è la più nobile tra tutte le cose, ed è ridicolo che ci ostiniamo a predicarlo noi, che la guerra da molti secoli non la sappiamo fare.

Richard Powers, The Overstory, 2018

Mentre il bambino si allontana a tutta velocità, i Graham si mettono a ridere. Dal pianerottolo, a metà scala, Adam sente sua madre sussurrare: «È un po' asociale. L'infermiera pediatrica dice di tenerlo d'occhio».
La parola, pensa lui, significa speciale, forse dotato di superpoteri. Una cosa cui le altre persone devono fare attenzione. Una volta al sicuro nella camera dei maschi all'ultimo piano, chiede a Emmett, di otto anni - quasi un adulto: «Cosa vuol dire asociale?»
«Vuol dire che sei un ritardato.»
«Che significa?»
«Che non sei normale.»
Ed è una cosa che sta bene ad Adam. C'è qualcosa di sbagliato nelle persone normali. Non sono affatto le creature migliori del mondo.

Marlen Haushofer, La parete, 1963

Gli uomini forse meritano maggiore commiserazione perché posseggono giusto quel tanto di giudizio per opporsi al naturale corso delle cose. Ciò li ha resi disperati e cattivi, e poco amabili. Eppure, sarebbe stato possibile vivere diversamente. Non esiste impulso più ragionevole dell'amore. Rende la vita più sopportabile sia all'amante che all'amato. Solo, avremmo dovuto riconoscere che si trattava della nostra unica possibilità, della nostra sola speranza in una vita migliore. Per un esercito infinito di morti, l'unica possibilità dell'essere umano è perduta per sempre. Continuo a pensarci. Non riesco a capire perché dovremmo imboccare la strada sbagliata. So solo che è troppo tardi.

Isaiah Berlin, “Lettera Internazionale” n. 16, 1988

La mia conclusione è che l’idea stessa di una soluzione finale non è soltanto impraticabile, ma - se vedo bene, e se tra alcuni valori il conflitto è inevitabile - è anche incoerente. La possibilità di una soluzione finale - anche a voler scordare il senso terribile che questa espressione assunse al tempo di Hitler - si dimostra un’illusione; e assai pericolosa, per giunta.
Infatti, se veramente si crede che una tale soluzione sia possibile, è chiaro che nessun prezzo sarebbe troppo alto, pur di arrivarvi: arrivare a un’umanità giusta, felice, creativa e armoniosa, arrivarci una volta per tutte, per sempre - quale costo potrebbe essere troppo alto di fronte a questo traguardo? Se questa è l’omelette, non c’è limite al numero di uova che si devono rompere.

Philip K. Dick, Valis, 1978

In altre parole, l’universo stesso (e la Mente dietro di esso) è pazzo. Perciò qualcuno in contatto con la realtà è per definizione in contatto con la pazzia: infuso di irrazionale.
In essenza, Fat scrutò la sua mente e la trovò difettosa. In seguito, usando quella stessa mente, scrutò la realtà esterna, ciò che viene chiamato macrocosmo. La trovò altrettanto difettosa. Come postulavano i filosofi ermetici, il macrocosmo e il microcosmo si riflettono fedelmente. Fat, usando uno strumento difettoso, indagò su un oggetto difettoso, e dalla sua indagine ricavò la conclusione che tutto era sbagliato. E in aggiunta a tutto questo, non c’era via di uscita. La combinazione di strumento difettoso e oggetto difettoso produsse un’altra perfetta trappola cinese per dita. Intrappolato nel suo labirinto, come Dedalo che costruì il labirinto per Minosse re di Creta, poi ci finì dentro e non poté più uscire. Presumibilmente Dedalo è ancora lì, e così tutti noi.

Edoardo Camurri, Introduzione alla realtà, 2024

Il cervello è il sistema fisico da cui si originano i nostri pensieri, la nostra intelligenza e la coscienza della nostra libetà; ma il punto è: come è possibile che da questo sistema fisico, un sistema che funziona su base deterministica come il mondo fenomenico kantiano, cioè come una catena di cause e di effetti, possa emergere la libertà, e quindi il desiderio di rompere quelle stesse catene che sono la sua origine?

Joyce Carol Oates, 8 peccati capitali, 1994

Forse il lettore ideale è un adolescente: irrequieto, vulnerabile, appassionato, affamato di sapere, di volta in volta scettico e ingenuo, fiducioso nel potere dell'immaginazione di cambiare, se non la stessa vita, la nostra comprensione della vita. Quanto più rimaniamo adolescenti, tanto più rimaniamo dei lettori ideali, per i quali l'atto di aprire un libro può essere un atto sacro, carico di rischi psichici. Per un simile lettore ogni opera di una certa importanza significa assimilare una voce nuova - dell'uomo del sottosuolo di Dostoevskij, o di Zarathustra di Nietzsche - e mutare continuamente il proprio mondo interiore.

John Rawls, Justice as Reciprocity, 1959

A prima vista può sembrare che giustizia ed equità siano lo stesso concetto, e che non c'è ragione per distinguerle. Certo, nel discorso ordinario può accadere che le frasi che esprimono tali nozioni non siano immediatamente intercambiabili, ma questa potrebbe essere una questione di stile e non un segno di differenze concettuali importanti. Credo che tale impressione sia errata, anche se non è priva di fondamento. Giustizia ed equità, infatti, sono concetti diversi, ma condividono un elemento fondamentale, che chiamerò il concetto di reciprocità. Esse rappresentano questo concetto in relazione a due casi distinti. In maniera molto approssimativa, la giustizia a una pratica in cui non c'è scelta se partecipare o meno, e si deve farlo necessariamente. L'equità a una pratica in cui si dispone di tale opzione, e si può declinare l'invito.

Jutta D'Arrigo, “leggere”, gennaio-febbraio 1993

Stefano sapeva quello che voleva dalla scrittura e quando non era soddisfatto distruggeva il suo lavoro. Tempo fa lo ha fatto per un romanzo del quale aveva già scritto almeno cinquecento pagine. Si trattava di un'idea straordinaria, la storia di uno scrittore colpito dal morbo di Alzheimer, la storia della sua scrittura prima e dopo la malattia. Ci ha lavorato per dei mesi, poi mi ha chiesto di nasconderglielo in un cassetto perché aveva bisogno di riflettere ancora. Quando lo ha ripreso in mano ha continuato a lavorare con l'ossessione che lo coglieva sempre quando creava. Poi, una mattina, ho trovato il romanzo a brandelli nella spazzatura. Non gli ho chiesto nulla, non ce n'era bisogno.

Jean Montenot, Libero seguito a “Caso irrisolto”, 2006

Eppure, e Ourednik lo sa meglio di chiunque altro, è proprio perché nessuna vita si lascia ricondurre a un destino, né esprimere da un racconto, che non si può far altro che moltiplicare i racconti che danno a ciascuno l'illusione che la propria vita abbia un senso, se non addirittura un senso elevato al rango di destino. Al di là della sua funzione utilitaria peraltro discutibile - posto che gli animali comunicano tra loro, con ogni sorta di mediazione, discretamente meglio degli uomini - la ragion d'essere ultima della parola umana consisterebbe non tanto nel dar senso all'esperienza vissuta, quanto nel dare a ciascuno di che mascherare la propria impotenza nel dar senso alla sua vita - in altri termini l'impossibilità di concludere in modo soddisfacente l'insieme aperto e finito che è ogni esistenza umana.

Edoardo Albinati, Cuori fanatici, 2019

Fin da ragazzo, Nanni inclinava a essere mansueto nei confronti delle ragazze che lo attraevano. Sorrideva spesso, era pronto ad acconsentire ogni capriccio, arrossiva e si ritraeva al loro minimo segno di fastidio. Se Nanni smetteva di essere scontroso come al solito, se appariva mite e sottomesso, vuol dire che c’era nei paraggi una ragazza che lo interessava. Lo interessavano le ragazze strane, ispirate, le ragazze violente, esili, le ragazze con vistosi difetti, con pregi inaccessibili, quelle sempre di malumore, con gli occhi piccoli, le grandi mani, le idee confuse, i tacchi alti, le ragazze che lavoravano nei bar e nelle pizzerie. Non pensava mai a conquistarle. Le subiva, si illanguidiva, piegandosi sotto i loro sguardi come un animale da soma, rideva quando ridevano loro, quando ridevano di lui, diceva qualunque cosa pur di rallegrarne il malumore, oppure taceva pieno di timore reverenziale, gli batteva il cuore a mille, distoglieva gli occhi, era intenerito, disossato - fino al momento in cui, così come vi era caduto dentro, usciva dal raggio d’azione del loro fascino e allora le dimenticava di colpo, tornando serio e brusco come prima.

Octavio Paz, discorso per il premio Nobel, 8 dicembre 1990

Nella mia peregrinazione in cerca della modernità mi sono perso e mi sono ritrovato molte volte. Sono tornato alla mia origine e ho scoperto che la modernità non è fuori ma dentro di noi. È oggi e l'antichità più antica, è domani e l'inizio del mondo, ha mille anni ed è appena nata. Parla in nahuatl, traccia ideogrammi cinesi del IX secolo e appare sullo schermo della televisione. Presente intatto, appena dissotterrato, che si scuote la polvere dei secoli, sorride e, all'improvviso, si mette a volare e scompare dalla finestra. Simultaneità di tempi e di presenze: la modernità rompe con il passato immediato solo per riscattare il passato millenario e convertire una statuetta della fertilità del neolitico in nostra contemporanea. Inseguiamo la modernità nelle sue incessanti metamorfosi e non riusciamo mai ad afferrarla. Sfugge sempre: ogni incontro è una fuga. La abbracciamo e in quell'attimo essa si dissolve: era solo un poco d'aria. È l'istante, quell'uccello che è dovunque e in nessun luogo. Vogliamo catturarlo vivo ma lui apre le ali e scompare, trasformato in un pugno di sillabe. Restiamo a mani vuote. Allora le porte della percezione si schiudono e appare l'altro tempo, il vero, quello che cercavamo senza saperlo: il presente, la presenza.

Peter Brook, Cahier Beckett, 1976

Beckett indispettisce sempre la gente con la sua onestà. Egli costruisce degli oggetti. Li pone davanti a noi. Ciò che ci mostra è spaventoso, ma proprio in quanto spaventoso, è contemporaneamente buffo. Ci dimostra quindi che non vi è modo di tirarsene fuori, e naturalmente questo fatto ci esaspera. Effettivamente non vi è modo di tirarsene fuori. La gente va ancora a teatro con la pia illusione che alla fine delle due ore di spettacolo il drammaturgo le offrirà una soluzione. Ora, sappiamo bene che la soluzione che ci darebbe Beckett non l'accetteremmo mai, eppure, per una incomprensibile illogicità, continuiamo ad aspettarcela.

David Foster Wallace, Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta, 1984

Così ho detto: - Scusa, lo sapevi che hai la dolcevita al rovescio? - E la persona, che era May, si è girata e ha detto: - Sì, lo sapevo -. Quando si è girata non ho potuto fare a meno di notare che purtroppo era molto carina. Non mi ero accorto che era una ragazza carina, altrimenti è quasi sicuro che avrei fatto scena muta. Ho sempre cercato di evitare di parlare con le ragazze carine, perché le ragazze carine hanno un effetto deleterio su di me nel senso che ogni parte del mio cervello si chiude fuorché la parte che dice cose di una stupidità incredibile e la parte consapevole che dico cose di una stupidità incredibile. Ma a quel punto ero ancora troppo stanco e a pezzi per preoccuparmi più di tanto, e mi stavo preparando a lasciare la Terra, così ho detto quello che pensavo, anche se May era carina in modo allarmante. Ho detto: - Perché la porti al rovescio? - riferendomi alla maglia. E May ha detto: - Perché non mi piace che l'etichetta mi graffi il collo -. Io, comprensibilmente, ho detto: - No, dico, perché non tagli l'etichetta? -. Al che ricordo che May ha risposto: - Perché non riconoscerei il davanti della maglia. - Eh? - ho detto, facendo lo spiritoso. May ha detto: - Non ha tasche, scritte né altro. Il davanti è uguale e identico al didietro. Con la differenza che il didietro ha l'etichetta. Perciò non li distinguerei -. Così ho detto: - No, dico, se il davanti è uguale e identico al didietro, che differenza fa da che parte la indossi? - A quel punto May mi ha guardato serissima per una cosa come undici anni, quindi ha detto: - Per me fa differenza -. Poi ha sfoderato un grosso sorriso di una bellezza mortale e mi ha chiesto con estremo tatto come mi fossi fatto quella cicatrice. Io le ho detto che avevo una fastidiosa etichetta che mi spuntava dalla guancia...

Marco Santambrogio, “la Rivista dei Libri”, settembre 1994

Il meccanismo è semplice: si stabilisce senza argomentare di far cominciare qualcosa da un certo momento e si osserva che proprio allora due fenomeni si trovavano in qualche modo congiunti: questa compresenza nella fase inaugurale è sufficiente a istituire tra quei due fenomeni un legame saldissimo, addirittura logicamente necessario o a priori (questi due concetti, pur molto diversi tra loro, vengono spesso scambiati). Si decreta infine che tutta la storia successiva si limiterà a sviluppare in innumerevoli variazioni quei legami. Il fatto che la scelta degli inizi sia in larga misura arbitraria e che la compresenza dei fenomeni possa essere del tutto contingente - tutto questo evidentemente ha poca importanza.

Lucia Berlin, Aspetta un attimo, 1999

Tanti, tanti altri se ne sono andati. Un tempo mi faceva ridere sentire frasi tipo: «Ho perso mio marito». Ma la sensazione è proprio quella. Che la gente scompaia. Paul, la zia Chata, Buddy. Capisco come si possa credere nei fantasmi, o fare sedute per evocare i morti. Passo anche mesi interi senza pensare ad altro se non ai vivi, poi ecco Buddy che arriva con una battuta, oppure tu, vivida, evocata da un tango o da un'agua de sandia. Se solo potessi dirmi qualcosa. Sei peggio del mio gatto sordo.
L'ultima volta che sei venuta è stato qualche giorno dopo la tormenta. Il terreno era ancora coperto di ghiaccio e neve, ma poi era arrivata una giornata calda, un colpo di fortuna. Gli scoiattoli e le gazze schiamazzavano, i passeri e i fringuelli cinguettavano sugli alberi spogli. Ho aperto tutte le porte e le tende. Bevevo il mio tè seduta al tavolo della cucina con il calore del sole sulla schiena. Le vespe sono uscite dal nido sul porticato, sono entrate in casa mia, ronzando sonnolente intorno alla cucina. Proprio in quell'istante si è scaricata la batteria dell'allarme antincendio, che ha cominciato a frinire come un grillo in estate. Il sole sfiorava la teiera, il barattolo della farina, la scatola argentea dei dadi.
Una luce pigra, come un pomeriggio messicano nella tua stanza. Vedevo il sole sul tuo viso.

Jean Starobinski, “Liber”, febbraio-marzo 1990

Nulla obbligava il comparativismo linguistico a ricorrere a coppie di concetti antinomici. Il metodo linguistico è differenziale e contrastivo. Le differenze non sono antitesi. Ma la logica verbale delle antinomie possiede il fascino della simmetria: si impone dappertutto dove prevalgono le condanne preconcette, l'insufficienza della documentazione e il desiderio di fare impressione. La logica dei contrari, l'argomento a contrario, continuano a riscuotere successo: obbligano a tagliar corto, mentre la constatazione delle differenze non comporta alcuna decisione che vada al di là di questa stessa constatazione.

Marco Lodoli, Diario di un millennio che fugge, 1986

Già da ragazzino, nel cortile della scuola, mi capitava di accorgermi all'improvviso che l'avversario con cui stavo litigando, con cui mi accapigliavo, non aveva meno ragioni di me, che anzi avevamo i medesimi torti e negli occhi la medesima paura, e allora con un passo mi tiravo fuori dalla zuffa, non avevo più voglia di difendere nulla, e dicevo facciamo testa o croce, o come vuoi tu, e piantiamola. Per questo sostenevano che ero un vigliacco, e non era falso. E non era vero.

Dylan Thomas, Ricordi di Natale, 1945

Tutti i Natali si somigliavano talmente in quegli anni ormai dietro l’angolo della città di mare e senza più suoni tranne il lontano parlottare delle voci che sento a volte per un attimo prima di addormentarmi, che non riesco mai a ricordare se nevicò sei giorni e sei notti quando avevo dodici anni o se nevicò dodici giorni e dodici notti quando avevo sei anni.

Arnaldo Benini, La coscienza imperfetta, 2012

La rarefazione delle sinapsi si annuncia con la diminuzione della memoria e prosegue con l'indebolimento di altre funzioni mentali. Non si tratta di una malattia in senso stretto, ma dell'invecchiamento del cervello, che, per la diversa traccia genetica della velocità di regressione di sinapsi e di neuroni e per le circostanze della vita, varia da persona a persona. Un modesto calo della memoria, l'indebolimento della capacità di imparare cose nuove e di concentrarsi a lungo non sono segni di demenza, ma di un modesto disturbo cognitivo. Di demenza si parla quando la perdita delle capacità cognitive e intellettuali rende le persone diverse da com'erano prima. Se il danno cognitivo è avanzato, si parla di demenza senile primaria che, nelle forme estreme, non si distingue dalla malattia d'Alzheimer. I disturbi sorgono e si aggravano in maniera spesso subdola, alla lunga di anni. Ne sono colpiti anche cervelli formidabili, come quello d'Immanuel Kant, il cui declino iniziò con la diminuzione della memoria e con la perdita della cognizione del tempo, e proseguì fino all'incapacità di riconoscere persone familiari e alla ripetizione ossessiva di movimenti senza senso. L'invecchiamento è inarrestabile. Quasi tutti coloro che dovessero raggiungere, come oggi si profetizza con giubilo, i 120-130 anni sarebbero dementi, e spesso anche ciechi e sordi.

Julio Cortázar, Rayuela, 1962

Il guaio era che a forza di temere l'eccessiva localizzazione dei punti di vista, aveva finito per pesare e perfino per accettare troppo il sì e il no di tutto, a guardare i piatti della bilancia tenendosi sull'ago. A Parigi, tutto era per lui Buenos Aires, e viceversa; all'apice dell'amore pativa e accettava la perdita e l'oblio. Attitudine perniciosamente comoda e addirittura facile, per poco che si trasformi in un riflesso e in una tecnica; la lucidità terribile del paralitico, la cecità dell'atleta perfettamente idiota. Si comincia a muoversi nella vita con il passo lemme lemme del filosofo o del clochard, riducendo sempre più i gesti vitali al mero istinto di conservazione, all'esercizio di una coscienza più attenta a non lasciarsi ingannare che ad afferrare la verità. Quietismo laico, atarassia moderata, attenta disattenzione.

Michel Serres, Il mancino zoppo, 2015

Gli psicologi di ogni scuola descrivono la costruzione dell'identità personale attraverso le relazioni parentali. Certo. La vita esclusiva in città sterili, e alcune conoscenze limitate alle scienze umane e sociali, forse li hanno trascinati verso questa strana e gretta limitazione. La Garonna, i suoi vortici, le piene e le alose, le sabbie e i pioppi mi hanno creato almeno quanto mia madre; le allodole, le siepi, i raccolti e i pruni quanto mio padre, agricoltore e marinaio; ma anche l'estatica felicità che, qualche tempo dopo, mi fu offerta dall'alto mare, dall'alta montagna, dal deserto orizzontale, frammenti di pianeta senza uomini, contribuì al mio sviluppo, tanto più che, nello stesso tempo, imparavo le scienze e capivo in mezzo a chi e da quando vivevo, o quale flusso del mondo mi avesse messo al mondo.

Rosa Pierno, Corporea Mente, 2012

Se mediante opera di asservimento e di disciplinamento venisse meno il disordine delle passioni, tosto dovresti ripristinarlo per non restare separato dal tuo concreto mondo. Amore è effetto incagliato, intinto in torbida conoscenza, e a nulla servirà rinfrancare l'immaginazione con l'essenza di un incrollabile legame. Considerando che eccitazione non è che guasta comprensione, converrà indirizzarla verso l'affetto, ma non per questo sarà ripristinato il favoloso delirio dei primi giorni, dei primi sconvolgenti incontri. Ammettendo che innamoramento non sia che distorsione o sviamento, mai vorrei ritrovarmi un giorno sulla retta via. Solo pura contraddizione ci consente di restare in relazione. La contraddizione si trova dalla parte della non risoluzione, detto a quanti vorrebbero che ogni questione fosse risolta in modo lineare, spiegata in tutti i suoi meandri, come se possibile fosse che dall'oggi al domani ci dichiarassimo, con convinte ragioni, che non più t'amo, che tu m'ami.

Jon Fosse, L'altro nome, 2019

e c'è silenzio e anch'io mi tolgo la borsa a tracolla e l'appoggio sulla sedia vicino a me e lascio vagare lo sguardo sugli altri uomini presenti nel Pub, seduti ognuno con la propria birra e la propria sigaretta come se fossero il loro fragile scudo di protezione dal mondo, si aggrappano alla sigaretta, alla birra, e dentro di loro il mare è grande, in tempesta o calmo, mentre aspettano che abbia inizio la prossima e ultima traversata, quella che non avrà mai fine, quella da cui non torneranno più e non hanno paura, andrà come andrà e deve essere, perché in questo c'è un significato, sì, Nostro Signore deve sicuramente avergli dato un senso, pensano, perché Lui scrive dritto dove le righe sono storte, pensano, o almeno il buon Dio è presente da qualche parte, ed è il diavolo a storpiare le righe, pensano, e si aggrappano alle loro sigarette e alla birra e poi pregano una preghiera silenziosa, una preghiera che assomiglia di più a una rapida occhiata rivolta verso il mare che c'è dentro di loro, senza parole, ma la preghiera si estende fino dove l'occhio arriva scrutando il mare, ed è completamente priva di parole, perché le parole rimangono, certo, ma deve esistere un porto anche per gente come loro, pensano di sicuro, e poi avvertono un accenno di paura e allora sollevano il bicchiere e il sapore della birra, quel gusto vecchio e caro, infonde loro sicurezza, penso e vedo che Asle alza la birra e ne beve un sorso

Rachel Cusk, Kudos, 2018

Raccontava tutto ciò con un riserbo impacciato e lieve dal quale s'intuiva che parlava più per intrattenere che per suscitare sconcerto. Un sorriso di disapprovazione gli aleggiava intorno alla bocca, mettendo in mostra una fila di denti candidi e robusti. Parlando si era animato, e la disperata scompostezza di prima si era attenuata nella maschera brillante del narratore. Avevo l'impressione che fossero storie che aveva già raccontato e che amava raccontare, come se avesse scoperto il potere e il piacere di rivivere i fatti avendoli privati del loro pungiglione. L'abilità, lo vedevo, stava nel mantenerti accosto a quella che presumibilmente era la verità senza consentire ai tuoi reali sentimenti di riprendere il sopravvento.

Paolo Zanotti, Trovate Ortensia!, 2001

Si può vedere come si muovono, in ogni caso, probabilmente il movimento è un prolungamento del corpo. Da una parte è questione di agilità e di elasticità. Forse dipenderà anche dall'ora, la mattina il passo è più leggero, però sembrano scivolare scappare da tutte le parti. Un corpo agile però sarà anche un corpo migliore, abituato a muoversi. E allora perché il movimento non dovrebbe essere proprio l'involucro del corpo, una specie di luminosità che rivela i muscoli e le spalle e la qualità della pelle e i tendini delle gambe. Se si mangiassero i corpi della gente, bisognerebbe mangiarli finché sono così, come le nuvole. Arrivata una certa età, si prende il corpo, gli si dà una riaggiustata, per bene, per bene, lo si mette nell'armadio con tutto quello che potrebbe servire a non farlo marcire subito, lo si lascia lì: da quel giorno in poi si porterà in giro solo il vestito.

Simone Salomoni, operaprima, 2023

Guardo Simone ed Elena bere, ballare e ridere, si divertono, sono a loro agio e si vede; Elena è appariscente, elegante, ma non possiede la bellezza, nessuna grazia, non parlo di carisma, ma di bellezza, pura bellezza; Simone non ha carisma, troppo giovane, però possiede una grazia naturale che proviene dall'andatura del suo corpo, dal suo modo di muoversi tra le persone, da come occupa lo spazio, la sua peculiarità estetica. Elena no, non ha peculiarità, è una ragazza come tante, bella come tante, vestita come tutte nel locale, la borsa firmata, un vestito da serata, rosso e lungo fino al ginocchio, scollatissimo, non porta il reggiseno e quando salta le si vedono le areole; ha due belle scarpette, vernice e tacchi a spillo, che fanno pendant con il vestito, con le labbra e con le unghie; è magra, a dispetto dell'enorme seno, è magra come un cacciavite e attira sguardi ed erezioni.

Jean Paul, Vita di Maria Wuz, 1793

Io conosco tanto il primo quaderno del re di Prussia quanto quello del maestro Wuz, e poiché li ho avuti fra mano tutti e due, posso giudicare che il re scriveva peggio da uomo e il maestrino da bimbo. «Mamma, - disse a sua moglie - guarda un po' come tuo marito ha scritto qui (nel quaderno) e lì (nel capolavoro calligrafico di una lettera d'investitura, che egli aveva inchiodato alla parete): ne sono ancora estasiato, mamma!» Egli non si vantava con nessuno, fuor che con sua moglie; e io stimo, quanto vale il privilegio del matrimonio, che il marito, per mezzo di esso, acquista un secondo io, davanti a cui senza esitazione può lodarsi proprio cordialmente. In verità il pubblico tedesco dovrebbe essere un tale secondo io per noi autori!

Emanuele Trevi, Due vite, 2020

Alla fine, gli venne diagnosticata una personalità bipolare. Anche a essere del tutto digiuni di conoscenze psichiatriche, la parola suona adeguata. Le montagne russe del suo umore prevedevano tuffi vertiginosi in basso e risalite altrettanto ripide, che si alternavano con grande rapidità. Rimango convinto che queste definizioni scientifiche possiedono un valore che arriva fino al punto in cui l'individuo, proprio perché è un individuo, scarta di lato, e dopo, dietro quella curva, non c'è nome che lo possa più inseguire. «C'è sempre qualcosa di assente che mi tormenta» diceva Camille Claudel, l'allieva di Rodin, malata cronica di nervi. Quelque chose d'absent. Chiamiamolo così. Forse queste cose fanno parte della vita di ognuno, e c'è chi ci fa più caso, e chi meno. In una certa misura, se questo è vero, la felicità dovrebbe consistere in una sempre minore attenzione a se stessi. Altro che la cura di sé! Meno sai chi sei e cosa vuoi, meglio stai.

Ludwig Wittgenstein, annotazione, 1937

Il modo di risolvere il problema che vedi nella vita è quello di vivere in modo da fare scomparire ciò che è problematico. Il fatto che la tua vita sia problematica mostra che la forma della tua vita non s’adatta allo stampo della vita. Così devi cambiare il modo in cui vivi e una volta che la tua vita s’adatta allo stampo, allora ciò che è problematico scompare.
Ma non abbiamo un po’ la sensazione che chi non vede problemi nella vita sia cieco davanti a qualcosa d’importante, se non addirittura alla cosa più importante di tutte? Non mi sento un po’ come chi dice che un uomo come questo vive senza scopo - ciecamente, come una talpa, e che se solo sapesse vedere vedrebbe il problema?
O piuttosto dovrei dire: uno che vive rettamente non vivrà il problema come una pena; così per lui ci sarà un’aureola luminosa intorno alla sua vita, non un oscuro retroscena.

Marta Cai, Brasilampi, 2023

La gallina è felice e grassa solo quando è chioccia. Allora, chioccia si china, osserva, accompagna. Vive divertita, ha gioia, beve goccine di felicità. Veste un abbigliamento semplice, morbido. Insegna, raspa, estrae lombrichi come stelle filanti. Non è alimentazione, è festa. È circondata da saltelli e lei è commossa, è la pace in terra alle galline di buona volontà. Quando non è chioccia, la gallina sa. La gallina è definita dal suo sapere che può fare un uovo. Ecco che la gallina ha risolto la questione se è nato prima l'uovo o la gallina. È nata prima la possibilità consapevole dell'uovo. Finché la gallina sa che potrebbe - se ha tempo - fare un uovo, è salva.

Yasmina Reza, Babilonia, 2016

Alla fine della conversazione mi dico, sei veramente una persona attenta, ti preoccupi per gli altri. Passano due secondi e penso, che squallore questo autocompiacimento per un'azione così elementare. E subito dopo, brava, ti tieni d'occhio, complimenti. C'è sempre un grande adulatore che ha l'ultima parola. Quand'era piccolo Denner usciva dal confessionale e si fermava sul sagrato di Saint-Joseph des Épinettes, inspirava l'aria a pieni polmoni e si diceva, adesso sono un santo. E subito dopo, scendendo i gradini, cavolo, ho peccato di orgoglio. Per un verso o per l'altro, la virtù non regge. Può esistere solo a nostra insaputa.

Guido Morselli, Uomini e amori, 1948

Era uno di quegli uomini che vanno radicalmente esenti dal fatale conflitto fra la carne e l'anima. C'era in lui, da questo lato, accordo pacifico e perfetto. Ogni funzione, ogni volizione gli pareva necessariamente estesa a tutto quanto il suo individuo senza distinzione possibile, ed era questo per lui un fatto troppo naturale perché valesse la pena di compiacersene. «Io dipingo con le mani e con la testa ma anche con lo stomaco» aveva detto una volta al suo amico Saverio: in compenso, il piacere che prendeva da una donna, era qualcosa che non interessava mai unicamente le sue papille e terminazioni nervose, qualcosa a cui la sua intelligenza era consenziente e felicemente partecipe. l'immagine di uno spirito estraneo e ripugnante al piacere dei sensi era un'assurdità, per Cambria, sebbene, sostenuta dal consenso universale, andasse accettata senza discussione: un dogma, venerando quanto misterioso. Da Saverio Maggio, tale sua caratteristica non era stata giudicata un pregio, né una fortuna; ma è un fatto che si danno anche individui di questa specie, benché forse non numerosi. Se ce ne fosse molti, la morale quasi per intero, e almeno due terzi della letteratura non avrebbero più ragion d'essere.

Guido Piovene, Le stelle fredde, 1970

Non ne potevo più di quella donnetta che, contrastando con l'indifferenza di tutti, mi si era appiccicata addosso, con il suo accompagnatore-nemico, l'ometto sempre dietro le nostre spalle che ghignava. Non cessava mai di parlare; non mi lasciava mai la mano; con la sua, molto piccola, rinforzava i discorsi grattandomi sul palmo. Provavo un forte fastidio di quel solletico, ma non riuscivo a farla smettere. Se poi allungavo il passo lo allungava anche lei sulle gambette corte a costo di trotterellare, senza nemmeno lamentarsi né smettere di grattarmi. Senza guardarla, la vedevo con la coda dell'occhio; magretta, ossuta, energica, prepotente, con gli occhi da fissata. Mi faceva pensare alle donnette missionarie in favore della religione o delle opere di carità, o sostenitrici fanatiche di qualche causa o accusatrici o agitatrici o incitatrici delle rivoluzioni, queste zanzare in veste umana, ancora peggiori dei loro equivalenti maschi. Qualunque cosa ne avessi pensato vivendo, ne provavo adesso disgusto. La sua vocetta di zanzara, che mi dava del tu, nei suoi sproloqui che cercavo di non ascoltare, ma di cui mi arrivava mio malgrado qualche frammento, continuava a ripetere le frasi del suo campionario. Per esempio: ‘Bisogna avere fede’, ‘So perché sei triste, è perché la tua fede non è ancora completa, e senza fede l'uomo soffre’, ‘La tristezza e il dubbio sono i nostri nemici’, ‘Ma io ti sarò vicina e i tuoi occhi vedranno’, ‘Il meglio sta davanti a noi’, ‘Scorda il passato e pensa soltanto al futuro’. Di queste frasi, nelle mie condizioni, non riuscivo nemmeno a capire il senso e lo scopo, e mi comunicavano soltanto una specie di nausea come se fossi oggetto d'intenzioni oscene. Intanto l'ometto, da dietro, con una vocetta, anche lui, non di zanzara ma di topo, interloquiva con i soliti: ‘Campa, cavallo’, ‘Il, ih’, ‘C'è da essere allegri’, ‘Te ne accorgerai, scemo’, ‘Camminerai un bel pezzo’, ‘Se non sarai sparito prima’. Questo durò per tutta la prima giornata. Quando finalmente sedetti per trascorrere quella che, nel gergo di qui, chiameremmo la notte, approfittai di un attimo in cui la donnetta stava tastando con le mani il suo pezzo di terra per essere sicura che fosse ben asciutto; scappai in un altro gruppo di là del rialzo e non la vidi più. Mi accorsi però in seguito che dovunque andavo si trovava sempre un qualcuno, e ce n'erano di tutti i generi, donne, uomini, vecchi, giovani e perfino bambini, che facevano la stessa parte d'incitatori a credere nel futuro, senza che, per quanto sapevo, nessuno li avesse mandati; spesso, non sempre, si portavano dietro un parassita oppositore, che invece ghignava e scherniva. I morti missionari andavano da un gruppo all'altro, si attaccavano a chi potevano; io non li potevo soffrire ed ero anche sgarbato per levarli di torno dalle prime parole. Per quanto indebolito di mente, non mi abbassai a prestarmi come teatro di una lotta tra il bene e il male recitata da quegli esseri disgustosi.

Elif Shafak, Tre figlie di Eva, 2016

Perché mai alle radici si dovesse dare tanto più valore che ai rami e alle foglie, Peri non lo aveva mai capito. Gli alberi gettavano virgulti e filamenti in ogni dove, sotto e sopra gli antichi suoli terrestri. Se perfino le radici si rifiutavano di star ferme dove stavano, perché pretendere l'impossibile dagli esseri umani?